Un successo sano
Con il libro sulla storia di Roma, Aldo Cazzullo è l'erede di Bocca, Biagi e Montanelli
Un racconto divertente, che attraversa le epoche e finisce a parlare di noi, scritto da un giornalista che si dimostra di nuovo anche un grande divulgatore storico
Da Cesare alla rivolta di Spartaco fino al segno vincente e cristiano di Costantino, e poi ancora Roma che rinasce, sempre, e continua anche a Bisanzio, rivive nella corona di Napoleone e poi nell’impero di cartapesta dell’Italia mussoliniana, per reincarnarsi infine pure nei simboli della potenza democratica americana che ribattezza col nome di Capitol Hill, ovvero di collina del Campidoglio, la sommità di Washington. “Roma non è mai caduta”, scrive Aldo Cazzullo nel suo ultimo libro, “Quando eravamo i padroni del mondo. Roma: l’impero infinito” (Harper Collins), un racconto vivacissimo e sorprendente della storia romana condensato – pensate – in 287 pagine attraverso le quali ancora una volta questo giornalista poliedrico, capace di praticare tutti i generi del giornalismo con la stessa grazia, ci conferma d’essere l’erede di Indro Montanelli, di Enzo Biagi e di Giorgio Bocca, insomma di quel mondo di grandi giornalisti che sapevano essere anche dei grandi divulgatori storici.
E qui ci sia consentita una parentesi personale, perché Cazzullo è un illustre amico e quindi, come diceva il solito Flaiano, “nel recensire il libro di un amico hai il dovere di paragonarlo a Hegel”. Ma ecco il problema: il problema di questo particolare amico è che non intendiamo paragonarlo a Hegel perché egli è Hegel, nel senso che sul serio Cazzullo, esattamente come Biagi, Bocca e Montanelli, è benedetto da quell’incredibile capacità di lavoro senza fine con la quale anche Biagi, Bocca e Montanelli riuscivano a rendere popolari le cose che popolari in teoria non lo erano. E proprio come Montanelli scriveva la sua “stanza” e portava la storia sul Corriere della Sera, così oggi Cazzullo, che ne è l’erede, cura la sua “stanza” delle lettere su quello stesso Corriere della Sera e in quelle stesse pagine. E fa le interviste più belle come quelle di Biagi. Ed è piemontese come Bocca (ma lui è scanzonato). E infine come tutti e tre i giganti del giornalismo italiano, anche Aldo Cazzullo è una macchina di successo. Un successo notevolissimo. Di pubblico. Un successo sano, però, non fondato sull’invettiva e sull’insulto, ma sul garbo, sulla seduzione colta, adesso anche in televisione, sul gusto di appartenere a un pezzo della geografia dell’eccellenza italiana. Ovvero di appartenere ad Alba, che non è la città del cuneese Bocca, ma è la sua geografia ed è la città di Fenoglio, dei Ferrero, di Angelo Gaja, il Mozart del vino: il successo di chi sa fare tutto bene. Il successo, dunque, anche di chi scrive bene ed è capace di raccontare i ragazzi di via Po a Torino, ma anche l’Italia attraverso Dante Alighieri, e poi il capobanda Mussolini e poi ancora ovviamente la storia di Roma.
Come in questo ultimo libro, appunto, che non è un saggio, non è un romanzo storico, ma è puro divertimento che attraversa le epoche e alla fine parla di noi e del mondo contemporaneo che ci circonda. Perché siamo talmente imbevuti della cultura romana che l’impero, ci fa vedere e capire Cazzullo, sta ancora in piedi dentro e attorno a noi. Anche quando non ce ne accorgiamo. È lì, l’impero romano. La sua lingua si trova alla base di ogni nostra definizione di pensiero, proprio come la sua intelligenza politica. E la sua architettura, la sua arte e persino il suo modo di condurre gli affari sono ancora oggi il metro attraverso cui noi misuriamo, consapevoli o meno, noi stessi e gli altri.