la mostra
La guerra e un Foglio rielaborato ad arte
L'opera dell'architetto Paolo Conrad Bercah: forme impresse sulle pagine del nostro giornale dedicate al conflitto in Ucraina. L'esposizione a Roma
La fragilità delle opere d’arte di fronte alla guerra in corso nell’est europeo. Da quando è iniziata, Paolo Conrad Bercah – architetto milanese con una formazione newyorchese e una pratica berlinese – l’ha voluta evidenziare nei suoi lavori. Ha così disegnato forme di architettura reali, ma anche forme immaginate sulle prime pagine del Foglio, “delle vere e proprie forme del dissimile – come le ha definite Francesco Saverio Aymonino, vicepresidente dell’Ordine architetti pianificatori, paesaggisti e conservatori di Roma e provincia – che reagiscono con i titoli del supporto sottostante e innescano riflessioni, ragionamenti, sensazioni che galleggiano in un tempo imprecisato tra ieri e oggi e probabilmente anche in un tempo ancora da venire”. A oggi sono stati ventotto i disegni pubblicati, suddivisi in sette categorie “tolstoiane”, che vanno dalla Guerra alla Pace, passando per temi molto attuali come Europa ed energia.
Ora la fanno da protagonisti in MM XX II - Un tempo dentro al tempo, una mostra alla Casa dell’Architettura di Roma in programma fino al 4 dicembre prossimo, una vera e propria indagine sul tempo implacabile distruttore di certezze e grande motivo di angoscia e di incertezza, una sequenza quasi quotidiana di cronache sparse del Foglio che vengono rielaborate e reimpaginate come opera d’arte, come episodi disegnati di una poetica eterna ma contemporanea. La forza comunicativa dell’autore è enorme, perché alle linee su carta ha affidato la diffusione di un messaggio artistico, politico e culturale con la spontaneità e l’immediatezza tipica della forma grafica. Lo scorso anno ci aveva già incantati con Fogli di Architettura, una serie di suoi disegni che offrivano una testimonianza personale sul mistero estetico della forma di architettura attraverso una partita a scacchi con il tempo. Nell’insieme, formavano due atlanti di idee estetiche atemporali a lui rivelatesi nei due diversi soggiorni a Roma durante la pandemia, “una maniera – ci disse – per ricominciare a orientarsi in un’epoca che ha messo in discussione il concetto di forma di architettura come disciplina estetica devota a gratificare la vita degli abitanti del pianeta”.
Le sue opere, a cui si aggiunge quest’ultimo ciclo, sono uno strumento di ricerca e un insieme di appunti su città e modi di vita, stimolati sia da progetti d’architettura che da viaggi di studio “proponendo – ha precisato Aymonino che ne è il curatore – una rinnovata riflessione sugli eventi di cronaca che ci spingono a interrogarci sul nostro presente”. L’autore, infatti, sovrapponendo al linguaggio scritto e alla notizia giornalistica quello del disegno di architettura, innesca un cortocircuito che ci invita a riflettere sul nostro passato, sul presente e sul futuro, su ciò che rimane e su ciò che è destinato a essere dimenticato.
“Passo le mie giornate davanti ad uno schermo nero per via di una digitalizzazione dilagante, che non sempre semplifica per via dell’estrema velocità”, ci ha spiegato. “Sento la necessità di sfuggire a queste schiavitù imposte a priori dal digitale senza contraddittorio. Sento la necessità di non diventare ostaggio di quella ossessione del ‘tempo reale’ imposta dal digitale che lavora senza sosta per cancellare il passato o ripulirlo per renderlo ‘accettabile’ al fondamentalismo imperante oggi ovunque”. Ha bisogno del disegno come attività non programmata e quando inizia a muovere la mano sul foglio, non sa mai dove arriverà. La logica e il significato emergono così riguardandoli a distanza di tempo. “Il mio intento è ammonire l’opinione pubblica e sottolineare che, essendo le culture molto intrecciate, la guerra rischia di eliminare opere che in fondo fanno parte della nostra tradizione. Al contrario dell’uomo, l’architettura non può migrare e in caso di attacco bellico gli edifici vengono uccisi”. “La guerra – ha concluso – fa parte degli affari umani e probabilmente neanche l’intelligenza artificiale potrà debellarla, ma al di là dell’orrore della distruzione, può comunque sprigionare nuove energie. Non sarà di certo l’arte a salvare il mondo. Piuttosto può renderlo più piacevole e vivibile”.