La recensione
Il mestiere del mare ti consente anche di dire no al generale De Gaulle. Un libro
Nel suo Marin Gèrard Petipas racconta il vecchio mondo senza regole delle regate oceaniche
"A causa della marea”. Fu la giustificazione addotta dal navigatore francese Eric Tabarly per declinare l’invito a pranzo in un giorno di maggio del 1967 da parte del generale de Gaulle, uomo che non era abituato ai rifiuti. Ma Tabarly era già un eroe nazionale, l’uomo che nel 1964 aveva vinto la transatlantica in solitario Plymouth-Newport. “Una vittoria navale che apre l’Oceano alla Francia”, aveva scritto Paris Match quasi fosse una rivincita di Trafalgar. Quel giorno di maggio la marea era perfetta per il varo della nuova barca di Tabarly, con la quale era destinato a nuovi record e imprese, e la giustificazione fu quindi accettata dal Generale, tanto che qualche tempo dopo ripeté l’invito: “Monsieur, spero che questa volta, marea permettendo, potrete partecipare al pranzo previsto per il 20 ottobre”.
L’episodio è narrato in Marin (Arthaud), di Gérard Petipas. È la storia del “marinaio” Petipas che si intreccia a quella del marinaio Tabarly, uno dei “conquerant des mers”, grande innovatore nella concezione delle barche da regata oceanica. Petipas, 84 anni compiuti nel novembre 2023, è stato il navigatore di Tabarly, ossia l’uomo che “deve sapere dove ci si trova in mare” come lui stesso definisce quell’incarico. Almeno prima che il Gps rendesse obsoleto quell’uomo. “All’epoca dovevamo fare il punto tre volte al giorno con il sole e una volta di notte con la luna”. Un sapere, come racconta Petipas, che ha imparato come ufficiale sulle navi della marina mercantile e di quella militare. Ma prima ancora ha imparato il mestiere di marin, di marinaio, sui pescherecci della Normandia o sulle “bananiere”, vecchi mercantili che erano utilizzati per il trasporto della frutta. Sarebbe potuto diventare ammiraglio o comandare il transatlantico “France”. Se non avesse incontrato Tabarly e avesse scelto di “andare in giro in barca a vela”. In realtà ha scelto quello che lui definisce “il mestiere del mare” e ha continuato a reinventarsi: organizzatore di regate, giornalista, scrittore, editore, manager, consulente navale. “In mare non sappiamo nulla. Impariamo. Non si smette d’imparare ogni volta che si mette piede su una barca”, scrive Petipas.
Nell’intreccio delle vicende di Petipas e di Tabarly, appaiono i personaggi che animavano il mondo delle regate e della vela d’altura: navigatori, ma anche artisti come Jacques Brel che in quegli anni si era ritirato alle Marchesi, politici, imprenditori, finanzieri, giornalisti come il grand reporter Gerard Fusil, scrittori, editori quando i libri di mare vendevano decine di migliaia di copie e non erano considerati un sottogenere. Uomini come l’ammiraglio israeliano Mordechai Limon che incontriamo a bordo del “Gitana”, lo yacht di Edmond de Rothschild, ma che nella notte di Natale del 1969 era al comando dei 150 uomini dell’“Operazione Arca di Noè”, che condussero fuori dal porto di Cherbourg e poi sino in Israele 50 navi lanciamissili già pagate ma poi messe sotto embargo da De Gaulle. Era un mondo di “avventurieri”, termine che in Francia, a differenza dell’Italia, ha sempre avuto e ha una connotazione positiva, romantica, incarnata in tanti “avventurieri” che rientrano tra gli immortels dell’Académie française. Tale era Jean Francois Deniau, politico, scrittore, diplomatico ed egli stesso navigatore, fondatore dell’associazione “Scrittori di Mare”. “Mai i conquistatori dell’inutile sono stato più necessari”, ha scritto. “Era un mondo di persone, uomini e donne, completi, intellettualmente interessanti… Insomma è stata una gran bella epoca” ha detto Gerard Fusil ricordando le sue avventure durante l’ennesima avventura che aveva organizzato in Patagonia, una corsa a squadre in condizioni estreme e totale autosufficienza. Di una squadra faceva parte anche Florence Arthaud, navigatrice famosa, “la petite fiancée de l’Atlantique”. Anche lei tra i protagonisti di “Marin”, anche lei una persona completa. Di grande eleganza, va aggiunto, come tutti in quell’epoca, pur nelle loro follie e sregolatezze. Peccato che il film su di lei, “Flo”, uscito in Francia il primo novembre, non la rappresenti con la stessa eleganza. “La storia di Florence, la sua magia, non esce affatto, o almeno esce distorta”, ha dichiarato il fratello.
È difficile riprodurre un mondo di cui si stanno perdendo le tracce. Si possono solo ricordare: le “memoires” di quelli che l’hanno vissuto. Ormai vecchi. Ma sempre marin o aventurier.