gli scatti
Il treno di Orsi arriva da sud: esposte a Brescia le opere del fotoreporter mancato due anni fa
Un treno del sud è la mostra piccola e meravigliosa accolta nelle stanze del Ma.Co.f per la cura di Renato Corsini e Roberto Palmas e ora prorogata fino al 23 dicembre. L’esposizione presenta la serie degli scatti di Orsi del 1963
Raggiungo Brescia da Bergamo, treno regionale, seconda classe di un Trenord 10131, primo pomeriggio di un giorno feriale. Il treno è un intreccio non così ovvio di mondi, lavoratori soprattutto e tra loro non pochi rider che caricano le biciclette sul treno. Facce del tutto simili alla fatica, alle alzate all’alba e a una giornata che è ancora molto lunga da finire. Facce molto diverse da quelle che oggi si trovano su altre tratte, basti pensare, per non andare lontano, ai diretti Bergamo-Milano o Brescia-Milano, dove facce ben più levigate si concentrano davanti agli schermi della mela morsicata. Siamo nell’anno di Bergamo-Brescia capitale della cultura (al singolare), mai state così aderenti queste due città, del resto mai state amiche anche se gli intrecci e gli affari le accomunano da sempre. La fabbrica grande e la fabbrica piccola, l’impresa commerciale e quella artigiana, banche e cultura da alta borghesia.
Raggiungo Palazzo Martinengo Colleoni che già nel nome fa sintesi tra questi due poli opposti del tutto simili l’uno all’altro e quindi estremamente diffidenti l’uno dell’altro. E forse per spiegare questa parte di Lombardia che non è Milano e non è Brianza, ma che resta un pezzo fondamentale del pil italiano ci voleva proprio un fotoreporter, uno di quelli come non ce ne stanno più. Uno nato a Milano e poi diventato bergamasco per amore, uno che il mondo lo ha girato per guerra e per moda, per lavoro e per quella forma di godimento assoluto che è la vita vissuta al tempo del fotogiornalismo, uno come Carlo Orsi (1941-2021). Un treno del sud è la mostra piccola e meravigliosa accolta nelle stanze del Ma.Co.f per la cura di Renato Corsini e Roberto Palmas e ora prorogata fino al 23 dicembre (perfetta per l’antivigilia).
L’esposizione presenta la serie degli scatti di Orsi del 1963: il treno del sud è quello dei migranti interni, siamo nel pieno boom economico. L’anno prima Luciano Bianciardi ha pubblicato La vita agra e Milano è quella del Jamaica e di una Brera che deve ancora conoscere le week e che accoglie invece artisti e comici, fotografi e scultori. Molti sono presunti e quasi tutti sono senza dané, ma lo spirito non manca. Orsi, già assistente di Ugo Mulas, collabora con Panorama e il Mondo, cammina e fotografa, il fare e la sua qualità per lui contano, in un tempo di soldi facili, di ricostruzioni azzardate e di crolli dietro l’angolo. Un treno del sud coglie la velocità di un’anima irrequieta. Quelli di Orsi sono scatti veloci, contemporanei, la cui composizione stupisce per la perfezione al punto che potrebbero essere ricostruiti da David LaChapelle, per citare un opposto.
Perché in Orsi non c’è alcun compiacimento estetico, ma l’occhio vigile di chi restituisce il valore di una storia a delle vite complicate. A un primo colpo d’occhio sembrano personaggi, ma sono realmente uomini e donne, persone in lotta con il proprio tempo.
Le stesse facce le ritrovo sul treno del ritorno, uguali ma diverse, e chissà che avrebbe detto Carlo Orsi, il Carlo per gli amici.