podcast di corna
“Amy and T. J.”, tradimento narrato dai protagonisti. Ma sembra una richiesta d'aiuto
Due presentatori del programma tv “Good Morning America” avevano una storia all’insaputa dei legittimi coniugi. Quindi sono stati sospesi dal lavoro. Un anno dopo ecco il podcast che racconta tutto
Titoli che segnano un’epoca. Qualche storico della contemporaneità dovrebbe indagare sulla mente che li ha concepiti. “Non drammatizziamo… è solo questione di corna” – libera traduzione italica di un titolo che per François Truffaut era “Domicile Conjugal” – dice molte cose. Sarebbe interessante conoscere l’ignoto pensatore che intuì lo spirito del tempo.
Era il 1970. Dei figli dei fiori, gli italiani avevano capito “libertà di corna” e poco altro. I braghettoni woke non erano neanche immaginabili. Ma bisognava aggiungere qualcosa di piccante a un manifesto con una coppia a letto che legge. Legge? Sicuro, lei un libro illustrato su Nureev e lui un libro sulle donne giapponesi. Una spintarella al botteghino andava data.
Oggi le corna vanno benedette con un podcast. Nei paesi anglosassoni, s’intende. I francesi e le francesi tengono troppo alla loro eccezione culturale: il flirt resta uno sport diffuso (vedere subito “Coup de chance” di Woody Allen, appena uscito nelle sale). Ed ecco che arriviamo al podcast.
Due presentatori del programma tv “Good Morning America” avevano una storia all’insaputa dei legittimi coniugi – non dei giornali scandalistici. Quindi sono stati sospesi dal lavoro. Un anno dopo – la scintilla era scattata quando entrambi seguivano il giubileo della regina Elisabetta – ecco il podcast che racconta tutto, o quasi. Titolo: “Amy and T. J.” – lei si chiama Amy Robach, lui T. J. Holmes. Lei bionda e lui nero, le leggi anti discriminazione non coprono gli adulteri sul luogo di lavoro.
Li ha fatti uscire allo scoperto il Daily Mail – ma con il senno di poi molti sostengono che la coppia in tv aveva fin troppa chimica – grazie a una serie di foto. Una a cena. Una per strada, dove pure avevano cercato di tenere una distanza di sicurezza. Una a bordo di un Uber, dove si stringevano teneramente la mano (inquadrati da un obiettivo più che curioso e da un ingrandimento dentro il cerchio rosso: sì, le mani si toccano, ma magari lui stava solo scaldando la gelida manina).
“Siamo stati smascherati, non sorpresi”, dicono nel podcast, alludendo a trame oscure. Entrambi erano nel bel mezzo di un divorzio, e ricordano strani episodi. L’impressione che qualcuno li seguisse. Qualcuno spaventò Amy, e T. J. disperato corse a casa sua, sicuro di trovarla morta. Qui un bel “non drammatizziamo” ci starebbe.
“Ero convinto, e lo sono ancora, che tecnicamente non abbiamo fatto nulla di male”, dice Robach nel podcast (su quel “tecnicamente”, un bravo sceneggiatore ricamerebbe più di un tribunale ecclesiastico). “Non siamo stati bravi a gestire la crisi”, risponde lei – chissà cosa si dicono la sera, quando ognuno dei due mette giù il suo iPad. Neppure la perdita del lavoro – “un lavoro da sogno” dicono – al programma “Good Morning America” li turba. Adesso hanno più tempo per viaggiare, visitare i parenti e gli amici, vedere molta tv – facendo eccezione per i programmi di news.
Lo considerano un “reset” – e come ogni americano dopo qualsiasi esperienza, sono convinti di essere diventati persone migliori (gli ex coniugi non hanno ovviamente voce in capitolo). Prima facevano interviste senza rifletterci, oggi sarebbero più rispettosi del privato altrui, sperimentato il turbine mediatico. Più di un podcast, pare una richiesta di lavoro (oltre che di pubblico perdono, i coniugi saranno ancora furiosi) in piena regola.
P. S.: Ora sappiamo fare anche i podcast. Buon per voi, è tutta esperienza. Ma sappiate che il settore “le faccende degli altri” – una volta apprezzato e pagante – sta morendo. Per la sindrome: “Mia cugina ha fatto un podcast, e io cosa ho meno di lei?”.
Universalismo individualistico