le nomine
Lo spoils system di Sangiuliano sui musei
La vicinanza politica per scegliere i direttori non è una buona idea
La commissione ministeriale (già criticata per la composizione) ha scelto i nuovi direttori di importanti musei nazionali in base a criteri di sintonia politica. Penalizzando professionisti di maggior curriculum. Un errore, che fa anche tornare indietro di anni nella crescita di figure professionali adeguate. I grandi musei internazionali fanno il contrario, e fanno bene
Nel bel mezzo di un caldissimo luglio era scoppiata una piccola polemica di addetti ai lavori – l’eletta schiera di storici e critici convinti che a loro soltanto, e ai sovrintendenti per burocratica concessione, debba spettare il governo dei musei. Quando fu annunciata la commissione nominata dal ministro della Cultura Gennaro Sangiuliano per scegliere i nuovi direttori dei musei nazionali – Uffizi, Real Bosco di Capodimonte, Brera, Gallerie Estensi di Modena – risultò infatti che tra i commissari c’erano addirittura dipendenti del ministero, con in più il rischio che alcuni si sarebbero potuti trovare a giudicare dei colleghi. Non esattamente una garanzia di autonomia.
Scrivemmo sul Foglio un piccolo promemoria, “Come scegliere i nuovi direttori dei musei: consigli a Sangiuliano”, confidando che alla fine le scelte sarebbero state fatte a regola di merito e senza preferenze di tipo politico o peggio personale. Ma ora che col favore delle tenebre (come usa dire: era la sera di venerdì scorso), le nomine sono arrivate, somigliano – non tutte, ma oltre la soglia di guardia – a uno spoils system di tipo politico più che a una spietata selezione da head hunter, come si usa per i grandi musei del mondo. Come ha scritto la rivista specializzata Artribune, sfidando un generale e imbarazzato silenzio, “in alcuni casi i musei sono stati affidati a chi aveva curricula e titoli meno solidi, ma maggiori relazioni personali o un posizionamento politico affine al governo in carica”. Adamantina la scelta di Eike Schmidt, in uscita dagli Uffizi (anche se la telenovela sulla sua possibile candidatura a sindaco di destra a Firenze, e certe sue uscite spericolate, qualche graffio lo lasciano pure sul diamante). E ineccepibile la scelta, per gli Uffizi, di Simone Verde, reduce dalla direzione del Complesso monumentale della Pilotta di Parma che ha saputo rivoluzionare e valorizzare. Niente da dire, ovviamente, sulle persone. Ma, come ha notato persino il pacato Avvenire, le altre nomine “non sorprendono come tipo di scenario”, poiché “la linea dell’attuale governo è optare per nomine di tipo politico”. A che cosa serva una nomina per affinità elettive per guidare Brera o per aprire finalmente Palazzo Citterio, non è ben chiaro. Ma il museo milanese è stato affidato ad Angelo Crespi, attuale direttore del Ma.Ga di Gallarate (Varese), giornalista culturale, già consigliere del non proprio trionfale passaggio di Sandro Bondi al Collegio romano. Non un curriculum da critico né da sovrintendente, ma ha superato validi candidati.
Come Cristiana Collu – in uscita dalla Galleria d’arte moderna e contemporanea di Roma, che non gradì molto lo sbarco di Tolkien – o Marco Pierini, che alla Galleria nazionale dell’Umbria ha svolto un lavoro superbo. Lo stesso si può dire di Renata Cristina Mazzantini approdata alla Gnam di Roma forte di un bel curriculum, ma non strettamente specialistico (è curatrice del progetto Quirinale contemporaneo) che ha superato concorrenti “oggettivamente dotati di titoli solidissimi” (Artribune) come Micol Forti direttrice delle raccolte contemporanee dei Musei vaticani e Bartolomeo Pietromarchi direttore del MAXXI Arte. Dice Vittorio Sgarbi, sottosegretario per quanto conflittuale al Mic, che si tratta di validissimi esperti nonché suoi collaboratori, ma che il cristico li porti in palmo non fa, o non dovrebbe fare, curriculum preferenziale. Alle Gallerie Estensi è arrivata Alessandra Necci, scrittrice che vanta in curriculum tra le altre anche una biografia di Isabella d’Este, ma ha superato Paola D’Agostino, ora al Bargello, storica e ottima esperta di scultura antica di cui Modena è ricca. Stranamente non si sono sentiti, fin qui, i soliti alti lai dei professionisti della “destra che mette le mani sulla cultura”. Ma, sottovoce, il giudizio che sia stato applicato uno spoils system politico è condiviso. E qualcuno dice pure: legittimo. Purtroppo non è così. Secondo la riforma Franceschini i direttori dei musei non sono personale a disposizione della politica, ma indipendenti e dotati di autonomia. La commissione che designò i direttori ora scaduti era di alto profilo internazionale e rigorosamente indipendente. E’ tristemente comico che, qualche mese fa, 67 intellò fiorentini di sinistra in polemica con il direttore degli Uffizi scrissero che Schmidt era “peraltro giunto grazie al ministro del governo precedente Dario Franceschini”. Insinuazione cui l’ex ministro avrebbe fatto bene a replicare, ma forse tutto questo a Gennaro Sangiuliano non importa molto. Tralasciando però nomi e procedure, è più interessante sottolineare che il vero problema in Italia è che la figura, e la stessa definizione professionale, di “direttore di museo” non esiste e va ancora inventata, cercandola all’incrocio di più specializzazioni. All’estero per i grandi musei si selezionano curriculum che guardano a esperienza, a doti di manager e di competenza culturale. In Italia siamo ancora alle terne teleguidate su cui la decisione è politica.
Siamo un grande paese sotto lo stellone, dunque i nuovi direttori faranno benone. Ma sulla strada di professionalizzare ruoli pubblici cruciali e di affidare in trasparenza la gestione di istituzioni di prestigio mondiale e di prima grandezza, abbiamo perso un turno. Resta da dire che quelli che anni fa gridavano contro le nomine di Franceschini perché ritenute di parte o “mercatiste” – ma in realtà nel mirino c’erano i temuti “stranieri” – ora tacciono: il populismo culturale, di destra e di sinistra, si somiglia molto. E direttore non mangia direttore.