La casa editrice fondata da Giometti - foto Facebook 

1964 - 2023

Addio a Gino Giometti, estimatore di Robert Walser

Manuel Orazi

Il filosofo e traduttore, dopo una carriera universitaria e la co-direzione di Quodlibet ha fondato la Giometti&Antonello, contribuendo all'editoria e alla cultura del nostro paese

È mancato poco prima di Natale, come Robert Walser, improvvisamente e senza darne comunicazione a nessun altro se non alla sua compagna Milena Ibro e al figlio Milo. Gino Giometti era nato a Montepulciano nel 1964, si era iscritto a filosofia all’Università di Siena dove aveva amato di più il corso di logica del professor Claudio Pizzi di quelli, certo più affollati, di Mario Tronti o Franco Fortini. Dopo qualche anno si trasferì a Macerata per seguire un filosofo allora al debutto della sua carriera universitaria, Giorgio Agamben con cui lo studio sconfinò immediatamente nella vita in comune insieme con un gruppo di studenti (Stefano Verdicchio, Elettra Stimilli, Alejandro Marcaccio, Daniele Garbuglia e altri) articolata in lunghe notti di discussioni, di seminari su Spinoza sul Monte Conero, di viaggi a Parigi. Ne resta una prima traccia nella rivista “Marka” curata da Clio Pizzingrilli ad Ascoli Piceno. Il supplemento al numero 26 del 1989 conteneva infatti alcuni testi inediti di Walser “venuti alla luce dopo la morte dello scrittore” tradotti da Gino. A corredo del volume c’erano anche un saggio di Ginevra Bompiani, uno di Gianni Celati e, oltre a quello di Pizzingrilli, La comunità che viene di Agamben che l’anno dopo darà il titolo a un libretto pubblicato da Einaudi 1990. Un paragrafo si intitolava Quodlibet, che sarà poi il nome delle edizioni fondate nel 1993, quando cioè Agamben lascia Macerata per andare a insegnare all’Università di Verona. Gino, Stefano e gli altri si erano accorti che più di proposte di articoli per una rivista veniva loro naturale proporre libri, nuovi o da ripescare, tanto valeva mettere in piedi una casa editrice che avesse come logo la figura dello stesso Walser. Co-diretta da Giometti e Verdicchio, i primi due titoli furono Una cena elegante, primo testo dello scrittore svizzero tradotto in italiano da Aloisio Rendi trent’anni prima da Lerici, e Bartleby, la formula della creazione di Gilles Deleuze e Agamben. Le analogie tra alcuni personaggi walseriani e quello di Melville, il filo rosso tra il servitore che scompare nell’ingranaggio sociale come una minuscola rotellina (lo scrivano) e il vagabondo che non si lascia fossilizzare in un unico ambiente come nella Passeggiata era gettato.

 

Nel 1994 mentre Celati traduceva Bartleby lo scrivano per Feltrinelli, con il suo celebre “avrei preferenza di no”, Giometti traduceva Pezzi in prosa di Walser popolati di figure angoscianti come L’assassina o Schwendimann oppure capaci di una spensierata felicità come lo sbarbatello dell’ultimo racconto, Non ho nulla. Del resto Gino era così: capace di imporre una distanza insormontabile fra sé e il mondo, ma anche di piacevoli conversazioni con avventori casuali e no dello storico locale il Pozzo quando ancora poteva fumare all’interno le sue Gauloises: tra questi l’editore di Liberilibri Aldo Canovari, il musicista Stefano Scodanibbio o un giovanissimo Emanuele Coccia. Raramente altezzoso, Gino era seduttivo per via della sua inflessibile eleganza di adorabile tiratardi. Nel 1995 veniva pubblicata la tsua esi di laurea discussa con Agamben, Martin Heidegger. Filosofia della traduzione, che rileggeva tutta l’opera del filosofo tedesco alla luce di questa attività che a suo dire non era solo una funzione bensì una forma autonoma di conoscenza. Lavorando soprattutto di notte, curò due testi di Antoine Berman, il traduttologo che sentiva più affine, La prova dell’estraneo. Cultura e traduzione nella Germania romantica (1997) e La traduzione e la lettera o l’albergo nella lontananza (2003) dialogando a distanza anche con Michele Ranchetti, portando avanti lo studio in quest’ambito con un dottorato a Torino sotto la direzione di Gianni Vattimo per poi rinunciare alla carriera universitaria senza alcun rimpianto. Poi, mentre la casa editrice stava crescendo aprendo una sede a Roma e aggiungendo nuove collane di narrativa come Compagnia Extra diretta da Ermanno Cavazzoni (con Celati sullo sfondo) e di architettura, nel 2013 Gino la lascia dopo vent’anni di condirezione.

 

Insieme con Danni Antonello - libraio antiquario, poeta e traduttore veneto trasferito a Macerata - fonda la Giometti&Antonello che per un decennio ha portato avanti un ambizioso programma nonostante la prematura scomparsa di Antonello nel 2017. “In un’epoca in cui la produzione e il consumo di testi conosce un ampliamento senza precedenti, ma al contempo l’autorevolezza di autori e opere vacilla in modo quasi irreversibile e la critica tradizionale e le accademie hanno totalmente smarrito la loro funzione di filtro e di indirizzo, il ruolo dell’editore diviene quanto mai centrale… L'editore deve trovare il coraggio di riproporsi come guida”.

 

Non a caso il primo titolo era quello di Kurt Wolff, l’editore di Kafka, Trakl e Walser, “una sorta di vademecum per chiunque ancora oggi voglia intraprendere questo mestiere”. Aiutato negli ultimi tempi soprattutto da Edoardo Manuel Salvioni, in pochi anni Giometti&Antonello ha pubblicato circa sessanta titoli prevalentemente di carattere letterario e poetico, “pagine postume pubblicate in vita” da Georg Büchner a Dylan Thomas passando per Joyce, Mandel’štam, Laurent de Sutter, Carlo Belli, Marcello Barlocco e molti altri. Recentemente aveva assunto una posizione intransigente verso il “Leviatano sanitario” ovvero le politiche del green pass che hanno stravolto la vita quotidiana di chiunque, riavvicinandosi ad Agamben che pure ha pubblicato. Gli scritti di Gino, se si eccettua la tesi, sono quasi tutti brevi come la maggior parte della produzione dello scrittore svizzero, ma come aveva notato Stefan Zweig “nell’arte non sono le dimensioni che sono determinanti, ma la perfezione interiore”.

 

Un’irreparabile perdita per l’editoria italiana e per Macerata nello stesso anno della morte di Canovari, ma anche per chi scrive – che ha avuto la fortuna di accompagnarlo per un bel tratto di strada – e per chi ha beneficiato dei suoi preziosi suggerimenti – assist bazleniani - così come gli attaccanti che possono tirare in porta perché ricevono un cross preciso dall’ala, il suo ruolo preferito da giovane giocatore nei brulli campetti poliziani. Gino Giometti ha inseguito un destino non sempre lineare eppure senza mai perdersi veramente, come nella poesia walseriana Troppo filosofico: “mi scopro risata, tristezza profonda, selvatico intrecciatore di discorsi”.

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