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To be or not to be

Dagli striscioni antifascisti in teatro alle mail durante “Amleto”: cosa succede al pubblico?

Antonio Gurrado

Il caso del monologo shakespeariano, interrotto dall'iPad di uno spettatore, e i recenti atti di disturbo alla Scala e all'Opera rivelano l'indifferente freddezza del moderno pubblico borghese

Un’attrice, impegnata nell’Amleto e fidanzata con il protagonista, dà all’amante un’indicazione infallibile. Per essere sicuro di trovarla sola, gli dice, basta aspettare l’inizio del celebre monologo e raggiungerla in camerino: lei non avrà nulla da fare mentre il promesso sposo dovrà intrattenere gli spettatori senza interrompersi. Si verifica così la singolare situazione di un attore che ogni sera, non appena attacca con “Essere o non essere”, vede qualcuno che si alza dalla platea e se ne va, scavalcando una selva di gambe e chiedendo permesso.


Ciò che nel 1942 era solo frutto della fantasia di Ernst Lubitsch in “To be or not to be” (tradotto con “Vogliamo vivere”) ottant’anni dopo è diventato realtà. Andrew Scott, che per intenderci ha interpretato il prete figo in “Fleabag” e il dottor Moriarty in “Sherlock”, ha rivelato che il momento più strano della sua carriera teatrale è caduto quando, nel mezzo del monologo di Amleto, ha visto uno spettatore accendere il laptop per mandare delle mail. A quel punto si è interrotto ed è rimasto zitto, causando sconcerto nel pubblico e terrore nel cast, mentre lo spettatore continuava imperterrito a smanettare, del tutto indifferente alla realtà che lo circondava.Si potrebbe attaccare qui una tirata su quanto la gente sia diventata scostumata, signora mia, e rifugiarsi in un’interminabile aneddotica: io stesso, costretto a due brevi voli nazionali, all’andata ho visto una coppia cambiare il pannolino a un neonato coram populo, spandendo escrementi e olezzo nella fusoliera, mentre al ritorno mi è andata meglio, poiché il mio vicino di posto si è limitato a mettersi a torso nudo per cambiar maglietta a metà itinerario. Per fortuna in nessuno dei due aerei viaggiava Alain Elkann.


Il dettaglio rivelatore della storia raccontata da Scott, tuttavia, sta nell’evenienza che l’episodio si sia verificato proprio a teatro. Anzitutto perché il teatro riproduce il mondo: “All the world’s a stage”, scriveva Shakespeare, e le lettere dei gesuiti raccontavano la curiosa usanza cinese di recitare a corte i principali eventi di cronaca onde informarne l’imperatore. Il modo in cui stiamo a teatro incarna l’atteggiamento che abbiamo dinanzi al mondo, quindi aprire l’iPad mentre inizia il monologo più celebre della storia implica che ci sentiamo già annoiati da tutto ciò che non riguardi strettamente il nostro ombelico. Non solo. Più o meno ai tempi di Lubitsch, Theodor Wiesengrund Adorno coniava il concetto di “freddezza”, che individuava come caratteristica peculiare dell’età borghese e cui attribuiva nientemeno che la responsabilità di Auschwitz. Curiosamente, per indicare quest’atteggiamento in cui l’uomo si pone con indifferenza rispetto ai patemi del simile, Adorno utilizzava il termine “spettatore”, dal lessico teatrale. Lo spettatore è colui che esercita la freddezza osservando in modo distratto e distante, impartecipe; è colui che, di fronte alla lacrimevole tragedia di Amleto, principe di Danimarca, accende l’iPad e spedisce due mail.

È significativo, dunque, che proprio a teatro si siano verificati recenti casi che ci hanno perturbato: l’urlo “Viva l’Italia antifascista” alla prima della Scala e lo striscione “Niente fascisti all’Opera” sventolato contro Beatrice Venezi a Nizza. Di là dal merito, li accomuna un metodo: spostare l’attenzione dalla realtà scenica, rispettivamente il “Don Carlos” e Johann Strauss, sottraendo dignità o credibilità al lavoro dell’artista sul palco. Non c’è gran differenza rispetto al tizio che ha estratto il tablet al momento di “Essere o non essere”. Potrebbe sembrare che questi atti di disturbo siano differenti: si sono presentati come carichi di impegno sociale e politico pertanto, come tali, sembrerebbero combattere la freddezza borghese anziché praticarla. Invece, dalla Scala a Nizza, i ribelli del loggione pensano di essere la cura della stessa malattia di cui sono sintomo.
 

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