la recensione
La nascita del Romanticismo: nella piccola Jena le migliori energie intellettuali
Il libro "Magnifici ribelli" di Andrea Wulf va salutato con un po' di meraviglia e molta gratitudine. Fa la storia del sorgere del movimento romantico e passa con disinvoltura dalla filosofia di Fichte ai drammi di Schiller e Goethe, fino alle poesie di Novalis
Per noi italiani è difficile capire che cosa è stato davvero il Romanticismo. Basti dire che i due poeti che a scuola ci insegnano a pensare come la massima espressione del Romanticismo italiano, Foscolo e Leopardi, in realtà nel dibattito dell’epoca erano due classicisti, e non lesinavano le loro critiche ai (pochi) romantici nostrani. L’unico a potersi fregiare con qualche ragione dell’aggettivo è stato Manzoni, ma anche lui era così intriso di cultura illuministica e di buon senso lombardo che si stenta a vedervi un vero esponente del movimento. E anche se riuscissimo a farci un’idea di quello che è stato il Romanticismo in letteratura, ci resterebbe completamente oscuro il fatto che il Romanticismo, all’estero, non ha riguardato solo la poesia, ma tutte le arti, e inoltre la filosofia, la storia, il diritto, persino la scienza, insomma l’intera cultura.
Il fatto è che il Romanticismo è nato in Germania, è stato anzi, dopo la Riforma, il primo grande movimento intellettuale europeo ad avere un’origine tedesca. E tutti gli altri Romanticismi, o almeno tutti quelli dei paesi latini, sono venuti dopo, sono stati solo echi di quello che era successo in Germania tra il 1795 e il 1805, all’incirca. Se non ci si sposta in Germania, quindi, si è destinati a capire ben poco di quello che ha significato il Romanticismo. E’ per questo che un libro come Magnifici ribelli. I primi romantici e l’invenzione dell’io di Andrea Wulf (traduzione di Antonella Salsano, Luiss University Press, 505 pp., 24 euro) va salutato con un po’ di meraviglia e molta gratitudine. E’ grande divulgazione, di quella in cui gli anglosassoni sono maestri, fa la storia del sorgere del movimento romantico e passa con disinvoltura dalla filosofia di Fichte alla critica letteraria di August Schlegel (uno studioso che col suo Corso di Letteratura drammatica ha rivoluzionato la storia della letteratura), dai drammi di Schiller e Goethe alle poesie di Novalis, dalla filosofia di Schelling agli albori di quella di Hegel.
Nel dare brio alla sua narrazione, Wulf è favorita dal fatto che tutte le personalità che abbiamo elencato sono transitate in quegli anni cruciali a Jena, una piccola città universitaria non lontana da Lipsia, realizzando una concentrazione di energie intellettuali quasi senza paragoni nella storia. Forse per trovare qualcosa di simile bisogna arrivare al Bloomsbury Group, che univa economisti del calibro di Keynes a scrittrici come Virginia Woolf. Ma Jena era ben diversa dalla Londra di inizio Novecento. Era poco più di un paese e aveva un aspetto ancora nettamente medioevale, del quale oggi, dopo le distruzioni della Seconda guerra mondiale fatichiamo a renderci conto. Andrea Wulf ci conduce in giro per la cittadina di allora, tra rumorose osterie dove bivaccavano gli studenti, teatri anatomici dell’università, librai e alberghi “All’orso nero”.
La stessa cura che pone nel descrivere i luoghi l’autrice la dedica a schizzare sapidi ritratti di tutti i protagonisti: Fichte irruento e sguaiato, ma capace di annunciare ai suoi studenti che era suonata l’ora della libertà; Goethe già pingue e sdentato; August Schlegel azzimato come un damerino, che tiene le sue lezioni in presenza di un valletto; Hegel che ha appena finito la Fenomenologia dello Spirito e vede lo spirito del mondo a cavallo: Napoleone reduce dalla battaglia vittoriosa contro i Prussiani.
Ma soprattutto, e senza nulla forzare, Wulf può rivendicare il ruolo svolto nel movimento romantico da alcune donne straordinarie. Perché il Romanticismo è stato anche una rivoluzione nel costume, e queste intellettuali sono state rivoluzionarie, nella vita privata e in quella culturale. Sappiamo che il Romanticismo italiano è nato dallo scritto di una donna, Madame de Staël. E a Jena c’erano Dorothea Veit, che sposerà il fratello di August Schlegel, Friedrich, la mente più acuta (ma anche il personaggio più antipatico) del gruppo, c’era Johanna, la moglie di Fichte. E c’era, soprattutto, Caroline. Figlia dell’orientalista Michaelis, sposa il medico Böhmer; rimasta vedova, frequenta i giacobini tedeschi e viene imprigionata. Si risposa con August Schlegel e collabora alle sue opere, ma poi lo lascia per unirsi al molto più giovane Schelling. Quando morirà, nel 1809, Hegel dirà che “se l’era presa il diavolo”. Ma forse il Maligno era lui.