Arte
Fabio Mauri e l'esperimento del mondo
Il Castello di Rivoli ospita fino al 24 marzo prossimo una grande mostra dedicata a uno dei protagonisti dell’avanguardia italiana
L’incertezza e l’interrogazione – oggi più che mai attuali – ma anche la religione e l’etica, il rapporto tra soggetto individuale e il mondo sono stati al centro dell’attività artistica di Fabio Mauri (1926-2009), tra i protagonisti dell’avanguardia italiana con una poliedricità tale che lo ha fatto essere artista visivo, scrittore, drammaturgo, fondatore di riviste, editore e insegnante. Ci ha pensato il Castello di Rivoli – sito a pochi chilometri da Torino - a ricordarlo al meglio, dedicandogli la grande mostra Fabio Mauri. Esperimenti nella verifica del male in programma fino al 24 marzo prossimo nelle tre sale al terzo piano, un percorso speciale che mette in luce la parte più intima di tutta la sua produzione artistica che per lui fu sin da subito un campo di sperimentazione dove poter verificare pensieri diversi e teorie.
“Un percorso non certo semplice, iniziato dopo una grande crisi esistenziale che lo colpì da giovanissimo, dopo la Seconda Guerra Mondiale”, spiega al Foglio Carolyn Christov-Bakargiev, curatrice della mostra insieme a Sara Codutti e Marianna Vecellio. “La scoperta dei campi di concentramento – aggiunge la oramai ex direttrice del Castello di Rivoli che a fine mese sarà sostituita da Francesco Manacorda – coincise per lui con la devastante esperienza della presenza del Male nel mondo, un dolore insopportabile che lo portò in diversi ospedali psichiatrici e centri religiosi. L’espiazione divenne così una ricerca ossessiva e appartenere a una famiglia dell’alta borghesia milanese era per lui più una colpa che un privilegio ed ecco, dunque, che i testi religiosi di Sant’Ignazio di Loyola, Santa Teresa d’Avila e Cornelio Giansenio come quelli filosofici di Aristotele, San Tommaso d’Aquino, Sant’Agostino e Pascal diventarono il suo rifugio, facendo preoccupare proprio quella sua famiglia che era decisamente laica”. Erano - e sono ancora - i Mauri e i Bompiani, punto di riferimento dell’editoria italiana. Suo padre Umberto fondò la società Elicon che negli anni Trenta importò Mickey Mouse in Italia chiamandolo “Topolino” e fu il gestore della società di distribuzione Messaggerie Italiane.
“Nelle sue opere degli anni Cinquanta e Sessanta – aggiunge Christov-Bakargiev – già curatrice della storica mostra dedicata a Mauri alla Galleria Nazionale d’Arte Moderna di Roma nel 1994 (Retrospettiva Fabio Mauri. Opere e Azioni1954-1994) e in autunno curatrice dell’enorme mostra dedicata all’Arte Povera alla Bourse de Commerce di Parigi fortemente voluta da Pinault - Fabio Mauri destruttura il linguaggio del fumetto riprendendone elementi verbali e visivi che trasforma in composizioni poetiche e pittoriche che indagano la nuova soggettività emersa con i mezzi di comunicazione di massa”. A Rivoli li troverete insieme a vignette, a figure stilizzate o cancellate e abbozzi di dialoghi su cui inizia a ripetere (e a scrivere) come un mantra la scritta The End.
Sono solo alcune delle 170 opere presenti su carta e installazioni (esempi chiave dei suoi Schermi), diari e libri provenienti dalla sua stessa biblioteca. “Nel 1952 - continua la curatrice di questa mostra fortemente voluta dal compianto Achille Mauri, fratello dell’artista, a cui è dedicata – Fabio Mauri fu dimesso dall’ospedale psichiatrico Villa Turro di Milano e decise di diventare artista”.
Soggetti religiosi, influenze picassiane (in particolare da Guernica), Espressionismo e Fauves ne sono al centro, tra corpi di uomini e donne cancellati e mutilati, deformati e abitati da demoni che non danno alcun cenno di voler andar via. Un uomo qualunque nel sacco e la Donna nel sacco sono di quel periodo (1954) e mostrano entrambi delle figure “messe in saccoccia”, ovvero ingannate, accecate e incapaci di vedere la verità perché manipolate. “Sono la rappresentazione di una umanità non libera e senza libero arbitrio, cieca e senza visione. L’artista era per lui chi non è nel sacco, chi non è cieco, chi ha la visione”, precisa Christov-Bakargiev, grande amica dell’artista con cui era solita incontrarsi tutti i sabati a pranzo nella sua casa romana a piazza Navona, “parlando di arte e di un libro sulla memoria che non abbiamo mai fatto”. Proprio a Roma Mauri conobbe Alberto Burri che esercitò su di lui una certa influenza tanto da realizzare opere su schermi di carta, tela tesa su telai e cartoncini bianchi come Schermo-Disegno. Verticale/orizzontale del 1957, su cui dipinse lungo i bordi una fascia nera che fa pensare al cinema, altra sua grande passione. Pier Paolo Pasolini era suo amico e fu con lui che aveva fondato, molti anni prima (nel 1942), la rivista Il Setaccio e poi, successivamente (nel 1967), la rivista Quindici insieme a Umberto Eco e a Edoardo Sanguineti del Gruppo 63.
L’altra sua grande passione, scoperta in età adulta, fu la fisica che lo portò poi a studiare la teoria della gravità da cui derivò la sua personale teoria dei gravi, definita dalla formula riportata sulla lavagna de I numeri malefici – opera donata dalla famiglia Mauri alla collezione permanente del Castello di Rivoli – una riflessione sulla vita, l’arte, la cultura e i rapporti umani realizzata per la Biennale di Venezia del 1978, intitolata Dalla Natura all’Arte, dall’Arte alla Natura.
L’anno successivo, nel 1979, iniziò a insegnare Estetica della sperimentazione all’Accademia di Belle Arti dell’Aquila, un’esperienza che gli piacque molto e che lo portò a realizzare nel 1980 con i suoi studenti la performance complessa quanto memorabile Gran Serata Futurista 1909-1930 e successivamente, nel 1989, Che cos’è la filosofia. Heidegger e la questione tedesca. Concerto da tavolo.
Il male la faceva così da protagonista tra le sue matite e i suoi pennelli e così lo enfatizzava senza mai dimenticarlo. Ne sono testimonianza in tal senso anche i paesaggi che realizzò tra il 1981 e il 1983 con tema l’Apocalisse, tra cieli scuri, nuvoloni, raggi e trombe d’aria che colpiscono tutto e tutti, facendo sopravvivere – se così si può dire – solo dei piccolissimi fiori. Dai disegni arrivò alle performance (vista la sua esperienza anche di regista teatrale), tra cui Ebrea (1971) - composta da quadri, sculture oggetti come la Sedia in pelle ebrea che troverete nelle prime stanze a Rivoli - e Dramophone (1976) in cui un cane stava di fronte a un grammofono, divenuto poi il logo della casa discografica La voce del padrone. Da non perdere, poi, durante il vostro percorso, l’opera multipla Vomitare sulla Grecia, presentata per la prima volta sotto forma di installazione al Centro Multipli di Roma nel 1972. Il multiplo è una busta in carta telata che simula il sacchetto per vomitare messo a disposizione dei passeggeri di una fittizia compagnia aerea e all’interno della busta, chicchi di riso e pasta secca sono inglobati in un corpo di vetroresina che una fascetta dichiara essere stato “vomitato da Fabio Mauri a 9500 m di h sul Pireo il 21 gennaio del 1972”. Una sua presa di posizione contro il regime illiberale di natura fascista espressa attraverso un’azione immaginata, documentata e diffusa attraverso un multiplo artistico, esempio assoluto di quello che è stato il lavoro artistico di Mauri. “Un Esperimento del mondo” – come lo definì lui stesso - uno di quelli che gli fece esplorare il tema del Male che contraddice, purtroppo, ogni logica di un cosmo ordinato dell’Universo.