Puccini 2024 - Le opere
"Manon Lescaut" spiegata da Michele dall'Ongaro
A un secolo dalla morte di Giacomo Puccini l’Accademia nazionale di Santa Cecilia propone una rassegna di dodici incontri a lui dedicati: "Una guida molto pratica per spiegare come il teatro musicale diventi drammaturgia nelle sue opere", dice il presidente
Cento anni fa Giacomo Puccini ci lasciava sulle note di Turandot, ultimo lavoro, rimasto incompiuto. Questo 2024 sarà scandito dalla sua musica, un grande stimolo per approfondire l’eredità e l’attualità di tutta la sua produzione. Le prime due opere, Le Villi (1884) ed Edgar (1889), ci consegnano un artista promettente, un giovane conosciuto da pochi che ha il desiderio di porsi al centro della vita musicale italiana. A questo punto, serve una storia potente, già narrata e dunque ben nota, per accreditarsi in maniera originale e definitiva agli occhi del pubblico. Puccini vede nel romanzo dell’abate Antoine François Prévost, Storia del cavaliere Des Grieux e di Manon Lescaut, il territorio fertile per la sua prima grande opera: Manon Lescaut. Proprio con Manon s’è inaugurata domenica scorsa “Puccini 100”, la rassegna di dodici incontri che l’Accademia nazionale di Santa Cecilia propone con il suo presidente Michele dall’Ongaro. “Durante tutto l’anno andremo ad approfondire un diverso melodramma pucciniano – dice Dall’Ongaro – con lo scopo di fornire un supporto musicale e drammaturgico all’ascolto delle opere. Una guida molto pratica che spieghi come il teatro musicale diventa drammaturgia nelle opere di Puccini”.
Tornando alla storia della musica, nei primi giorni di febbraio del 1893 al Teatro Regio di Torino va in scena la “prima” di Manon Lescaut mentre qualche giorno dopo, il 9, Giuseppe Verdi presenta alla Scala Falstaff, il suo ultimo lavoro operistico. “Da un certo punto di vista è un passaggio di consegne”, continua Dall’Ongaro. “Puccini prende dall’ultimo Verdi, quello da Otello in poi, l’idea della drammaturgia moderna: fare del teatro musicale”. Il giudizio sul collega toscano, Verdi lo scrive a Opprandino Arrivabene in una lettera del 10 giugno 1884: “Ho sentito a dir molto bene del musicista Puccini. Segue le tendenze moderne ma si mantiene attaccato alla melodia che non è né moderna né antica. Pare che predomini in lui l’elemento sinfonico!”.
Con Manon Lescaut Puccini definisce le sue priorità: mettere in scena emozioni forti, sentimenti quasi animaleschi come amore, morte, passione e senso della vita. “Lo dimostra il libretto – dice ancora il presidente dell’Accademia – che è un guazzabuglio di eventi dove non si comprende perché tra il primo e il secondo atto i protagonisti scappino. Poi ritroviamo Manon mantenuta dal ricco Geronte. Quindi l’approdo nel deserto americano. Quando una volta ho chiesto a Guido Cagli perché alcuni libretti d’opera fossero così caotici lui mi ha risposto: perché la vita è così!”. Il compositore lucchese vuole arrivare al pubblico, afferrarlo nell’intimo così da non essere più dimenticato. “Ti costringe a piangere, a emozionarti, a sorridere quando decide lui: così si spiegano le otto revisioni che fa a tutta l’opera sino al 1924. Un desiderio sfrenato di lasciare un segno, una ferita profonda in chi ascolta”.
Ecco allora nascere una partitura dove temi e melodie si fondono con la trama, grazie al principio della variazione che crea un tessuto tematico capace di rigenerarsi. “In questo, Puccini guarda a Wagner – spiega Dall’Ongaro – nella costruzione della musica, nei suoi macro e microelementi. Da Wagner impara a sviluppare strutture tematiche grandi e piccole partendo dagli stessi nuclei”. Ne viene fuori un melodramma che il musicologo Fedele D’amico definisce “il nostro Tristano”. “Concordo: è il nostro Tristano perché racconta attraverso i soli strumenti della musica questa perdita di sé attraverso l’amore, così come Des Grieux e Manon; questo sentimento che travalica il sentimento, un qualcosa che va oltre lo spiegabile, che va oltre tutto e tutti e che trova come unico e possibile sbocco nella morte, in questo senso sono opere simili. Il quarto atto di Manon potrebbe tranquillamente uscire dal Tristano di Wagner. Un lungo adagio che racconta amore e morte”.
Puccini inaugura con Manon quella presenza del tempo quotidiano nell’azione drammaturgica dove gli avvenimenti e i protagonisti sono circondati da un paesaggio sonoro. “In questo assomiglia a Mahler conclude Dall’Ongaro – e mi ricorda quanto diceva Luciano Berio su Verdi, una frase che possiamo utilizzare anche per Puccini: ‘Senza Puccini la storia della musica sarebbe probabilmente la stessa ma non sarebbe la stessa la storia del teatro’”.