Letture
La storia del genere umano e le nostre innumerevoli ignoranze
Il rischio di un nuovo oscurantismo nel libro di Peter Burke dal titolo "Ignoranza. Una storia globale (Raffaello Cortina Editore, pp. 388, euro 25)": studiare l’ignoranza è più o meno come studiare il suo contrario, cioè il sapere, la conoscenza, la sua crescita, il suo accumulo, la sua diffusione sociale e l’uso che ne fa il potere politico
A orientare o dominare il lavoro degli storici c’erano una volta le filosofie della storia. Le due correnti maggiori e fra loro antagoniste sono state, dall’Ottocento al Novecento, quella idealistico-liberale ispirata dallo storicismo di Hegel, al cui centro c’è il progresso dell’umanità intesa come dialettica della coscienza o “spirito”; e d’altro lato, polemicamente avversa, la storiografia secondo Marx, con l’idea della lotta fra classi sociali all’interno di una struttura economica.
Ormai da tempo, se si esclude l’eclettismo pedagogico dei manuali scolastici, il miraggio di una totalità umana onnicomprensiva in cammino verso il futuro è esploso in una pluralità di temi e di metodi, al cui centro, se c’è un centro, è l’ottica sociologica e antropologica che guarda tanto all’economia quanto alla politica, alle idee dominanti, allo sviluppo tecnico, alla “cultura materiale”. Da allora, per gli intellettuali è diventato obbligatorio lo specialismo; nessuno ritiene più di poter dominare in un’unica visione sintetica l’intero panorama delle attività umane nel loro progresso o sviluppo unilineare. Questo ha portato a una certa moda delle storie non di tutto, ma ogni volta di qualcosa: la guerra, il cibo, il sesso, la comunicazione, l’educazione, l’abbigliamento, le singole arti e le singole scienze, le religioni, la vita quotidiana e la mentalità, le culture di massa, le migrazioni, l’organizzazione del lavoro ecc. Benvenute e attraenti sono diventate le storie curiosamente settoriali, che di solito piacciono di più anche al lettore comune.
L’ultimo libro di Peter Burke, membro della British Academy e famoso come storico della cultura, è intitolato Ignoranza. Una storia globale (Raffaello Cortina Editore, pp. 388, euro 25). La singolarità del tema è però in parte ingannevole: lo suggerisce già il sottotitolo, perché studiare l’ignoranza è più o meno come studiare il suo contrario, cioè il sapere, la conoscenza, la sua crescita, il suo accumulo, la sua diffusione sociale e l’uso che ne fa il potere politico.
Il carattere progressista della scelta di Burke parte dalla convinzione o dalla speranza assai diffuse che la storia sia storia della lotta all’ignoranza. Negli ultimi cinque secoli, dal Rinascimento in poi, l’Occidente pensa in termini di liberazione dall’ignoranza e di progresso del sapere-potere in tutte le sue forme. Ma poi si vede fin dalle prime pagine del suo libro che Burke è stato spinto a fare la storia dell’ignoranza da preoccupazioni molto attuali. Siamo oggi assai ignoranti in materia di ignoranza e soprattutto siamo sempre più aggrediti dalla massa di non-sapere contenuta nell’illusione informatica di sapere tutto. Il rischio è quello di un nuovo oscurantismo.
Burke fa diversi esempi recenti di ignoranza perniciosa. La pandemia del Coronavirus era stata predetta da epidemiologi che avevano scoperto la trasmissione di diverse malattie da animali selvatici a esseri umani, ma i governi non ne hanno voluto sapere. L’attacco alle Torri Gemelle era stato sospettato da alcuni agenti dei servizi di sicurezza, ma i loro avvertimenti annegarono in un “sovraccarico di informazioni”, e nessuno li notò. Quando si preparava l’attacco degli Stati Uniti a Saddam Hussein, il segretario della difesa Donald Rumsfeld nascose la sua ignoranza se ci fossero o no prove delle armi di distruzione di massa realizzate in Iraq. In Sicilia tuttora molti siciliani fingono di ignorare l’esistenza della mafia. Il razzismo è sempre fondato su un non voler sapere, che produce di continuo pregiudizi negativi pretestuosi e ciechi. I medici totalmente presi dal problema di individuare la natura del Covid non si accorsero che c’erano segni e sintomi anche di altre malattie pericolose.
Sullo sfondo c’è infine la grande tradizione filosofica, che fin dai primordi si è occupata di conoscenza e ignoranza nelle loro varie forme, che vanno da una totale opposizione a una positiva contaminazione dell’una con l’altra. Socrate come è noto ripeteva di essere guidato dal suo sapere di non sapere. Gli scettici antichi e moderni, da Lao Tzu e Sesto Empirico fino a Cusano, Montaigne e Hume, hanno bilanciato conoscenza e ignoranza trovando che vantaggi e svantaggi ci sono nell’una e nell’altra.
Pericolosissimo è infine il falso sapere dei vari “negazionisti”, da quelli che negano la Shoah a quelli che hanno negato la pandemia e il cambiamento climatico. Diffusissima è l’ignoranza per via di dimenticanza. La memoria la si sente come un peso e una responsabilità, mentre l’oblio e l’ignorare permettono facilmente un certo ottuso buonumore. Se d’altra parte dovessimo tenere a mente tutte le notizie di cronaca criminale che riceviamo quotidianamente, rischieremmo la paranoia.
Nelle arti si dice (e in parte è vero) che l’eccesso di cultura inibisce la libera creatività. Ma questo, almeno oggi, non sarebbe un gran male. Il culto della creatività è arrivato al punto che si fraintende o non si vuole capire un testo scritto per quello che letteralmente dice: si preferisce inventarne “creativamente” un significato che non c’è. Attenzione alle bugie creative, ne circolano già troppe. Per fortuna il libro di Burke ci allena a vedere più chiaro sul buon uso del nostro cervello. Perché, a ben vedere, la lunga storia culturale e sociale del genere umano è stata soprattutto la storia delle nostre innumerevoli ignoranze e dei loro vari perché.