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I colori nei versi di Federico García Lorca
Da sempre gli uomini hanno prestato attenzione al colore e ci hanno costruito sopra teorie artistiche e scientifiche. Tra questi il poeta spagnolo le cui opere restano intrise di una simbologia che passa attraverso le più svariate cromie
Sono le poesie di Federico García Lorca, da rileggere al tempo dell’armocromia. Un po’ giullare un po’ gitano, morì per la libertà/ Echi percorre l’enorme pianura… / rimanga bianco su bianco chiarore”. Anche il colore può farsi specchio attraverso cui vedere la realtà. “Nella voce interrotta / vanno i suoi occhi / (Il nero / sul rosso) / E la grotta bianca di calce / trema nell’oro / (Il bianco / sul rosso)”. Anche il colore è pieno di storie da raccontare. “E tutte le rose sono bianche / bianche come la mia pena”. Anche il colore ha tanto da dirci e da insegnarci. Facevamo questa considerazione poiché la Treccani ha scelto “armocromia” come una delle nuove parole del 2023. “E nella tavola divina dove il pittore forse ha sognato / vi sono colori di sospiri e giri di ballata”. Stiamo citando Federico García Lorca.
Armocromia, o analisi del colore personale, lo sappiamo, ha avuto il suo momento di gloria, o forse dovremmo dire di visibilità, in relazione alla segretaria del Pd, Elly Schlein. La faccenda, rimbalzata sui social e variamente e diffusamente commentata, ci ha consentito di apprendere che nel campo della consulenza dell’immagine una serie di teorie e di analisi mirano a determinare, individuare, i colori di capi d’abbigliamento e cosmetici che meglio si adattano a una persona, anzi, che meglio si armonizzano con l’aspetto di una persona, al fine di valorizzarne la figura. “E ombre e ombre e luce e silenzio / e baci e mani e neve tra i fulgori”. L’armocromia, tra le altre cose, pare, ci aiuti anche a capire a quale stagione apparteniamo, tenendo conto della temperatura, calda o fredda, del nostro sottotono. “Sei abisso di argento e di sole”. Da sempre gli uomini hanno prestato attenzione al colore e ci hanno costruito sopra teorie artistiche e scientifiche. “Nella visione viola dell’orizzonte enorme”. Per citare qualche esempio, relativamente vicino a noi, all’Ottocento risale il testo “The Laws of Contrast of Colour”, all’epoca rivoluzionario, del chimico francese Chevreul sul contrasto simultaneo, successivo e misto, dove si spiega, tra le altre cose, come i colori di due diversi oggetti si influenzino a vicenda. “Toni azzurrati in grigio e scarlatto… / di occhi lontani, di luce e orazione”. Il testo di Chevreul, nel 1850, fu usato per fini industriali e proposto a un pubblico americano privo di educazione nell’armonia dei colori. “Il mio incanto diventa violetto”. Divenne il manuale dei colori più importante del tempo. “Essa è luce che si fa canto… / in un tramonto di alfabeti”. Dello stesso periodo è il sistema di colori dell’americano Munsell, pittore e insegnante di arte. E si può continuare fino ad arrivare a Goethe, al suo saggio dall’incedere poetico sulla teoria dei colori, della luce e dell’oscurità, “vicinissimo all’oscurità nasce l’azzurro”, scrisse. E procedere fino agli anni Ottanta del Novecento, e ancora oltre, arrivando al Cromorama di Riccardo Falcinelli. “E le anime pazze in rosso torpore”. Procedendo per associazioni e affioramento, l’armocromia ci ha fatto ripensare a molti testi che hanno a che fare con la poetica del colore. “Quanta allegria ha il silenzio / profondo della stradina”. Restiamo, tuttavia, di quelli a cui piace cercare e trovare la poesia ovunque, perché sappiamo che ovunque la si trova, “la poesia è qualcosa che va per le strade, che si muove, che passa al nostro fianco”, sosteneva Federico García Lorca. E di colore e in colore, proprio al cromatismo di questo grande poeta siamo arrivati. “Unica dolcezza di questo rauco deserto”. I versi citati sono tutti suoi. La sua opera è intrisa di una simbologia che passa anche attraverso il colore, che da sempre attraversa le culture di ogni tempo evocando l’idea che vuole rappresentare. “Verde ti voglio proprio verde”.
Federico García Lorca è uno dei preziosi doni che la letteratura ci ha fatto. “Le ferite bruciavano come soli / alle cinque della sera”. Nato in Andalusia alla fine dell’Ottocento, in provincia di Granada, “Granada era una luna / affogata tra le edere”; in una zona di pianura fra campi di tabacco e barbabietole. Pare amasse molto quel luogo, un paese tranquillo che odora di paglia, coi pioppi che ridono e sono palazzi per gli uccelli, ebbe a dire. “Amo la terra. Mi sento legato a lei in tutte le mie emozioni. I miei più lontani ricordi da bambino hanno il sapore della terra”. Muore a 38 anni, nel 1936, fucilato dai nazionalisti. Poeta e drammaturgo. “Oggi ho nel cuore / un vago tremolio di stelle / ma il mio sentiero si perde / nell’anima della nebbia”. Uno dei poeti spagnoli più letti e tradotti al mondo. Cantato da Leonard Cohen. “E’ un ondulato silenzio, / un silenzio, / dove scorrono valli ed echi”. La sua produzione letteraria si sviluppa nell’arco di un ventennio. È del 1921 il “Libro de poemas”, quando l’autore era poco più che ventenne. Pare sia stato Juan Ramón Jiménez a convincerlo a pubblicare. “Il grido lascia nel vento / un’ombra di cipresso”. Il suo teatro è fatto di personaggi passionali, un ricettacolo di ombre dell’animo umano. “La mia vita vuole affondare / in tutto quel che vedo”. “La casa di Bernarda Alba” è considerato il suo capolavoro teatrale. Sono tante le donne dei suoi drammi, “la donna cuore del mondo”, tutte figure sensuali che rappresentano la pena del sentire, la forza vitale, lo slancio del respiro. “Il mio sguardo si stupisce, si inchina, il mio cuore chiude tutti i suoi cancelli, per meditare di nascosto sul miracolo. Sei tanto bella”.
Figlio di un proprietario terriero e di un’insegnante di scuola elementare che gli trasmette la passione per la musica e gli insegna il pianoforte, il canto, e il rispetto per il dolore degli ultimi. “Nel mondo s’è rotto tutto / resta solo il silenzio”. Fu desideroso di un mondo più giusto, meno discriminatorio. Compassionevole verso il prossimo, in quell’altro riconosceva, forse, quel perseguitato che ognuno di noi si porta dentro. “Piangevi tu in remote lontananze / Il mio dolore era un groppo d’agonie / sopra il tuo debole cuore di sabbia”. Attento osservatore dei contrasti e delle discrepanze sociali. “Io protestavo tutti i giorni… / protestavo di tutta questa carne rubata al paradiso”. Pare fosse uno studente mediocre, per mancanza di interesse. Era preso soltanto dal pianoforte e dal teatro delle marionette. “Tutto ciò che vive passa / per le porte della morte / a testa bassa”. Come tutti, anche lui ha dovuto fare i conti con la rigidezza del destino. “Ché io spero se andrò all’eterno / di trovare una Madre nel mio Dio / perché vedo che il cielo solenne / è un petto di azzurro splendore”. Con alcuni compagni universitari andò un poco in giro per la Spagna, e questi piccoli viaggi, nel 1918, diventano un testo in prosa, autopubblicato, “Impressioni e paesaggi”. In pratica il suo esordio letterario. “Il paesaggio scaleno di spume e di olivi / ritaglia i suoi profili in un celeste duro”. Una sorta di diario di un viaggiatore che riflette sul mondo che gli gira intorno. “Ho sentito nell’aria una cosa / lacerata e profonda che non posso esprimere”. Conosce e frequenta, fra alti e bassi, autori e artisti come Salvador Dalí, che fu una delle grandi passioni della sua vita, Luis Buñuel, Pablo Neruda, Vicente Aleixandre, che di lui disse: “Era tenero come una conchiglia sulla spiaggia. Innocente nel suo fragoroso ridere bruno, come un albero in furia”.
Febbrile nell’attività e dolorante nel pensiero. “Sto attraversando una grave crisi sentimentale (è così) dalla quale spero di uscire curato”, in conflitto con se stesso. “Ho bisogno di tutta la gioia che Dio mi ha dato per non soccombere davanti alla quantità di conflitti in cui ultimamente mi dibatto”. Repubblicano, appassionato di Shakespeare, e omosessuale in un mondo che mal sopportava la diversità, che lo emarginava e lo disprezzava, “non alzo la voce / contro il ragazzo che si veste da sposa / nel buio del guardaroba… / né contro gli uomini dal verde sguardo / che amano l’uomo e bruciano le proprie labbra in silenzio”. Un “prodigio di passione, entusiasmo e tormento”. Ha vissuto la vita e l’amore con un fervore struggente: “Temo l’abisso e il sogno nella realtà della mia vita, nell’amore, nel quotidiano incontro con gli altri. Questo è certamente terribile e fantastico”. Soggiorna a New York, grazie a una borsa di studio, e a Cuba. “Mentre la luce si cancella con lento tremore”. Farà poesia di quelle esperienze che definisce le più utili della sua vita, probabilmente perché gli spalancarono davanti un mondo, letteralmente. Un mondo meccanizzato e pieno di contraddizioni e discriminazioni. “Il cammino si perde in colori sanguinosi / e in nuvole di tempesta con rumori di mare”. Rientra in Spagna nel 1930. “Dagli ulivi / sarà un nero arcobaleno / sull’azzurra notte”. E tra le altre cose, in quel periodo, realizza un progetto universitario per un teatro popolare ambulante, La Barraca, portando per i villaggi la tradizione teatrale spagnola. “Tra le fronde dell’alba / nel tuo corpo senza carne e nei tuoi giunchi immobili”. In questo periodo conosce lo studente d’ingegneria Rafael Rodríguez Rapún, fra gli amori, il più intenso. “I tuoi occhi erano la morte e il mare”. Nei suoi versi c’è un costante dialogo con la vita e la morte, con il paesaggio, gli animali, gli insetti… e a ogni cosa sa dare voce, e di ogni cosa è cantore. “Tutte le cose hanno il loro mistero, e la poesia è il mistero che contiene tutte le cose”. Tra le sue pagine bisogna spesso arrampicarsi, e fermarsi a rifiatare, poiché possiede un linguaggio denso, potente e visionario. “Ignorante dell’acqua cerco / una morte di luce che mi consumi”. Ha una scrittura multiforme che passa dal verso classico a quello libero, dalla poesia fulminea all’ode. Dalla tragedia alla farsa. “La luce del poeta è la contraddizione”.
È un autore rigoroso che fa di “amore e disciplina” la sua regola. Un po’ barocco e un po’ avanguardista. Un po’ giullare e un po’ gitano, “il gitano conserva la brace, il sangue e l’alfabeto della verità andalusa e universale”. Si portava dentro l’infanzia. “Ricordo una brezza triste fra gli olivi”. C’è un sottotesto di nostalgia nel suo dire che tuttavia si fa quasi nenia consolante, per chi conserva dentro un mondo bambino. “Le emozioni dell’infanzia restano in me… sono in me un appassionato tempo presente”. “Sulla punta della fiamma / (Signore, tutto il mio domani!)”. Quando la situazione politica precipita, rifiuta di lasciare la Spagna: “Io sono uno Spagnolo integrale e mi sarebbe impossibile vivere fuori dai miei limiti geografici; … Canto la Spagna e la sento fino al midollo, ma prima viene che sono uomo del Mondo e fratello di tutti. Per questo non credo alla frontiera politica”. I nazionalisti cominciano a eliminare in massa i soggetti indesiderati, fra questi il cognato di García Lorca, un sindaco socialista. “E il mio sangue sopra il campo / sia rosato e dolce limo / ove spingano le zappe / i contadini stanchi”. Il 16 agosto del 1936 tocca al poeta di essere arrestato in casa di alcuni amici falangisti, e sarà fucilato il giorno dopo sulla strada, a Fuente Grande, Fontana delle Lacrime, nei pressi di Granada. “E io con la sera / alle mie spalle / come un agnellino / ucciso dal lupo”. Le accuse sono: “socialismo, massoneria, omosessualità e altre aberrazioni”. Il suo corpo non fu mai ritrovato. “Sempre, sempre: giardino della mia agonia / il tuo corpo per sempre fuggitivo”. Presupponendo che il corpo fosse stato gettato, insieme ad altri, in una fossa comune, nel 2009, il governo andaluso commissionò dei lavori di scavo per individuare il luogo, lavori interrotti nel 2011 per mancanza di fondi. “C’è un mondo di fiumi rotti / e distanze inaccessibili”.
La propaganda repubblicana, dopo la morte del poeta, comincia a diffondere le sue opere fuori dalla Spagna, mentre il regime franchista le mette al bando, a parte un’eccezione nel ‘53, con una pubblicazione pesantemente censurata. “La tua voce è ombra di sogno / le tue parole / sono nell’aria addormentata / petali di rose bianche”. Soltanto nel 1975 le sue opere saranno interamente restituite alla luce. “Ho una poesia da aprirsi le vene…, una poesia in cui c’è tutto il mio amore e tutta la mia derisione per le cose”. Attraverso la vividezza della parola, che assume forma e colore, García Lorca ha cercato di recuperare ciò che è perduto, e di trattenere quello che smania per sgusciare via. E questo bisogno di trattenere e questo perdere insistito è un po’ la storia del destino di ognuno. “Per vedere che tutto è svanito / dammi il tuo muto vuoto, amore mio!”.
García Lorca è un sognatore realista, che si guarda intorno con gli occhi di un ragazzino che ha già fatto a pugni con la vita. “E all’alba per il balcone / entrò tutto il cielo”. Come ogni grande autore, anche lui rimane di grande attualità, anche lui è un classico perché aderisce alla nostra realtà, stimola il confronto e la riflessione. “Bisogna essere come l’albero che è sempre in preghiera”. Si fa luogo dove fa piacere ritornare. “Sempre la rosa, sempre, nord e sud di noi stessi”. È stato Federico García Lorca a dire che la poesia non cerca seguaci, ma cerca amanti. “Senza alcun vento, / dammi ascolto!”