nella capitale

Una mostra su Rino Gaetano, il ribelle con il cilindro

Giuseppe Fantasia

Il Museo di Roma in Trastevere dedica al cantautore una retrospettiva con i cimeli e rarità, la prima che celebra uno dei più amati cantautori italiani scomparso a soli 31 anni

Un posacenere beige a forma di pianoforte a coda, gadget del tour di Elton John con su scritto il nome della sua etichetta discografica The Rocket Record Company. Un maglione colorato usato per il brano Spendi Spandi Effendi e la sedia in legno ricevuta dai proprietari del ristorante romano La Sagrestia, al Pantheon, dove era di casa e le dediche con i disegni dei 15 sorrisi “dall’alba al tramonto”. Il cappello nero a cilindro che gli regalò Renato Zero per salire sul palco dell’Ariston e far ascoltare per la prima volta al pubblico Gianna, una canzone che fece la storia del Festival di Sanremo, perché per la prima volta veniva usata la parola “sesso”, cantando di una donna che “non cercava il suo Pigmalione”, ma “difendeva il suo salario dall’inflazione”. C’è tutto questo, non proprio in quest’ordine, e molto altro – tra cimeli di ogni genere, dischi e musicassette, strumenti musicali, fotografie in bianco e nero e a colori, poster originali, opere d’arte (su tutte, l’omaggio che gli ha dedicato l’artista Marco Lodola) e altre rarità esposte per la prima volta - nella mostra che il Museo di Roma in Trastevere dedica a Rino Gaetano fino al 28 aprile prossimo, la prima che celebra uno dei più amati cantautori italiani andatosene via troppo presto, a soli trentuno anni, dopo un incidente d’auto sulla via Nomentana, poco distante dalla sua abitazione.

 

Nato a Crotone nel 1950, Salvatore Antonio Gaetano – Rino per tutti, soprannome datogli da sua sorella Anna – arrivò a Roma dove cominciò a frequentare il Folkstudio, un locale trasteverino dove conobbe artisti come Stefano Rosso e Tullio De Piscopo, Antonello Venditti e Francesco De Gregori, mentre si dilettava a scrivere testi ispirandosi ad artisti come Celentano, Jannacci, De André, Bob Dylan e i Beatles. In quel periodo fu inviso a molti dei suoi contemporanei che mal sopportavano le sue stramberie, ma lui continuò per la sua strada. “Era un artista nel vero senso della parola e un artista non smette mai”, dice al Foglio Riccardo Cocciante, ospite d’onore alla preview della mostra insieme ai colleghi Sergio Cammariere (cugino di Rino Gaetano) e Giusy Ferreri. “Ad unirci era quella difficoltà di vivere propria di noi artisti che continuiamo a fare ciò che facciamo con la consapevolezza che la società non ci capisce”, continua Cocciante che diventò suo amico subito dopo quel Sanremo del 1978 che lo consacrò al grande pubblico e i viaggi a Città del Messico e in Ecuador nei due anni successivi, un’amicizia che culminò con il brano A mano A mano che Gaetano cantò al Teatro Tenda di Roma nel 1981 mentre lui reinterpretava Aida.

 

“Era un ragazzo simpatico, gradevole e al tempo stesso piuttosto insicuro, ancora alla ricerca di sé stesso”, aggiunge Cocciante. “Ad ogni concerto arrivava all’ultimo momento e si percepiva in lui una certa inquietudine che lo rendeva una persona meravigliosa. Come me, urlava a suo modo, in modo armonico. Il suo era un grido d’amore”. “Rino Gaetano è stato un artista rivoluzionario che ha resistito al tempo e alle mode, confermando di essere ancora oggi un’icona della cultura pop italiana”, tiene a precisare Alessandro Nicosia, curatore della mostra con il nipote del cantautore Alessandro Gaetano e organizzatore della stessa con C.O.R/Creare Organizzare Realizzare e il supporto organizzativo di Zètema Progetto Cultura. “A oltre quarant’anni dalla sua prematura scomparsa, la sua onestà intellettuale resta un esempio e la sua musica continua ad essere fresca e attualissima, amata e citata anche dalle generazioni che negli anni Settanta e Ottanta non erano ancora nate”, aggiunge Nicosia, una vita dedicata all’arte, più di 400 mostre realizzate in 35 anni di carriera. A ben vedere, infatti, le sue canzoni vengono cantate ancora nelle spiagge e ballate in discoteca, sono intonate nei raduni politici e fanno da sfondo a pubblicità e una in particolare, Ma il cielo è sempre più blu, del 1975, è tornata in auge durante la pandemia diventando l’inno nazionale alla speranza durante il lockdown del 2020. “La denuncia sociale celata dietro l’ironia delle sue filastrocche – continua Nicosia - resta ancora molto attuale, come la costante lotta contro i tabù, le mistificazioni, le ipocrisie e i conformismi. Esse affrontano temi sociali e politici ancora attualissimi in forma leggera e dissacratoria, dal caro-vita all’emancipazione della donna, dall’emigrazione alla corruzione dei politici, dalla sostenibilità ambientale alla sicurezza del lavoro, la solidarietà, l’alienazione industriale e l’inclusione. Quelle canzoni si ispirano a scene di vita quotidiana e a fatti di cronaca mettendo insieme paradossi, nomi comuni, eroi e falsi miti e fanno sempre centro”. Nuntereggae più (1978), Berta filava e Sfiorivano le viole, ne sono l’esempio. Quelle di Rino Gaetano “erano canzoni universali che respingono la polvere del tempo”, ha scritto Vincenzo Mollica nel catalogo della mostra pubblicato da Gangemi Editore, dei doni bellissimi perché grazie a lui – ricordato ogni anno il 2 giugno (giorno della sua scomparsa) con il concerto della Rino Gaetano Band del nipote Alessandro al raduno nazionale Rino Gaetano Day nel suo amato quartiere di Montesacro – respiriamo un dolce sentimento fatto di intelligenza, vitalità e bellezza senza fine.

 

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