“Questo mondo accetta solo l'ebreo vittima, non l'ebreo che si difende”. Parla la scrittrice Lia Levi
Il limite dei critici dello stato ebraico che non sanno indicare una vera via d’uscita. “Perché il Vaticano, l’Onu, ma anche la Schlein e, in parte, la Meloni, quando chiedono a Israele di fermarsi, non esigono che prima Hamas rilasci gli ostaggi?”
Per prima cosa, ha una domanda: “Ma perché il Vaticano, l’Onu, ma anche la Schlein e, in parte, la Meloni, quando chiedono a Israele di fermarsi, non esigono che prima Hamas rilasci gli ostaggi israeliani?”. Scrittrice, fondatrice della rivista ebraica Shalom, da lei diretta per trent’anni, Lia Levi “protesta” contro la consuetudine di tacere il nome dei nemici di Israele, quando si discute della guerra in corso. Da ultimo, il segretario di stato vaticano, Pietro Parolin, ha parlato di una “carneficina” contro la popolazione palestinese di Gaza. Parole che l’ambasciata israeliana presso la Santa Sede ha definito prima “deplorevoli” e poi ha precisato – parlando di una traduzione dall’inglese imprecisa – con il più lieve: “Sfortunate”. Un episodio che comunque segnala il rapporto complicato tra la Santa Sede e Israele. “Quando avevo dodici anni, mi sono salvata dai nazisti grazie alle suore, che mi hanno nascosta in un convento di Roma per nove mesi. Provo un’immensa gratitudine per quello che hanno fatto per me, e per ciò che molti cattolici hanno fatto nei confronti di altri ebrei. E’ un bene che il malinteso con il Vaticano sia sia chiarito o almeno non si sia accentuato. Il clima che si è creato contro gli ebrei nel mondo è preoccupante”.
Novantadue anni, Lia Levi non ha firmato l’appello di “un gruppo di ebree ed ebrei italiani” che si dichiara “sconvolto” dalla risposta del governo israeliano al pogrom del 7 ottobre. “Quando mi chiedono, in via preliminare a ogni discussione, di esprimere il mio giudizio su Netanyahu, interrompo immediatamente il confronto. Mi rifiuto di indossare l’etichetta della ‘buona ebrea’ per poter dire la mia in pubblico. Questa consuetudine è iniziata con la guerra in Libano, con gli appelli dei ‘buoni ebrei’ antigovernativi schierati da una parte, e tutti gli altri immediatamente incasellati nell’altra, quella degli ‘ebrei cattivi’. Come se ogni ebreo dovesse per prima cosa lavare la propria colpa per potersi esprimere liberamente. Una pratica eticamente ingiusta”.
Lia Levi sostiene che il limite dei critici d’Israele è quello di non sapere indicare una vera via d’uscita dalla situazione tragica in cui si è precipitati dal 7 ottobre. “Chiunque chieda il cessate il fuoco, ha l’obbligo di indicare come si possa fermare realmente, a quali precise condizioni. Oppure immaginano che debba essere un gesto unilaterale, senza nulla in cambio?”. Chiaro che affrontata così la questione si presta difficilmente alla libertà di pensierino vista sul palco di Sanremo. “Non si può dare troppa importanza alle parole di Ghali. Anche se provo dolore nel sentire la parola ‘genocidio’ usata contro gli ebrei. Sarebbe bastato che il conduttore dicesse: ‘Signor Ghali, ha dimenticato che ci sono ancora degli ebrei in mano ad Hamas. Chiediamo che li liberino subito”.
Il fatto che il direttore generale della Rai, Roberto Sergio, sia finito sotto scorta per aver ricordato, in una nota inviata alla trasmissione “Domenica in”, questa semplice verità – dopo che al festival della musica italiana a nessuno era venuto in mente che tanti giovani uccisi e rapiti da Hamas stavano partecipando a un un festival musicale – non la sorprende affatto. “L’antisemitismo è tornato tra noi. Per tutti questi anni abbiamo creduto, io per prima, che si fosse quietato. Invece no, si era semplicemente nascosto dietro la maschera presentabile dell’antisionismo”. Levi è scettica sulla proposta di legge leghista di vietare i cortei a rischio antisemitismo. “Perché diminuirebbe il tasso di democrazia”. Crede piuttosto che anche il racconto dell’Olocausto dovrebbe cambiare. “Dopo tanti anni, ho capito che raccontare ritualmente ciò che è accaduto è servito a mostrare l’ebreo come vittima, formando l’idea che in tale posizione egli debba rimanere. E’ l’ebreo-vittima l’unica figura socialmente accettata. Mentre l’ebreo-che-si-difende produce un corto circuito mentale, all’origine dell’ostilità feroce a cui stiamo assistendo, e che vivo, personalmente, con un senso di angoscia profondo”.