facce dispari
Massimo Medugno, un anti-requiem per la carta
"E' un prodotto che non stanca, Come resistere? Dando la prima stoccata rispetto al web. Chi compra un brutto libro non deve sentirsi in colpa per l'ambiente, solo per il libro". Colloquio con il direttore generale di Assocarta
Ottimo per i Baci Perugina, così enfatico da infastidire, s’attaglia però al caso di Massimo Medugno l’aforisma di Confucio “scegli un lavoro che ami, e non dovrai lavorare neppure un giorno in vita tua”. Romano del Prenestino, classe ’64, l’avvocato Medugno era di quei bambini che scoprirono la loro prima wunderkammer nell’edicola di quartiere e vi dilapidavano la paghetta, sedotti dalle esperienze sensoriali dell’èra analogica: le copertine colorate, l’odore delle pagine, i piaceri del tatto, la varietà della scelta. Diventato direttore generale di Assocarta dal 2008, Medugno apprezza ancora la “strana fortuna” di sperimentare quanto sia vera per lui la sentenza confuciana.
Non stanca la carta, come tante altre cose, quando diventa routine?
Nemmeno un po’. Continuo a essere un accumulatore seriale: ogni giorno entra in casa, sotto molteplici forme, qualcosa di cartaceo che per me merita di essere conservato. Finisce in qualche architettura domestica che mia moglie non apprezza moltissimo, sicché di tanto in tanto promuove operazioni di demolizione. Noi cultori della carta siamo spesso incompresi.
Come cominciò la passione?
Con i fumetti, ma poi andare in edicola era come affacciarmi sul mondo e il giornalaio era un personaggio fondamentale, non un semplice venditore. Era un collettore di informazioni di quartiere, dai pettegolezzi alle novità, un perno delle relazioni sociali che le piattaforme virtuali non possono sostituire. Il nostro soggettivismo di massa mi mette tristezza, tanta quanta me ne fa una piazza senza più un’edicola. Le manca qualcosa.
Chi potrebbe salvare le edicole?
I prodotti che vende. Se vi si trova qualcosa che non è sul web. Forse gli stessi giornali cartacei, nel caso in cui riescano a non essere la prosecuzione di quel che s’è già consumato in forma virtuale. Quando sono loro a dare la prima stoccata.
Il mercato dei libri resiste meglio.
È un settore che tiene di più, e addirittura migliora, mentre l’informazione su carta s’asciuga. Ma sono anche altri i settori che preoccupano, anche per il bene dei consumatori: a Bruxelles stanno studiando una direttiva per l’eliminazione dei foglietti informativi nei farmaci. Sarà pure un risparmio, ma la tutela della salute dovrebbe prevalere sullo spostamento al digitale, perché si nega a chi non riesce a leggere un Qr code la possibilità di informazione. Nel nome della modernità sembra che tutto sia lecito. Un’altra insensatezza è la sostituzione della carta con gli asciugatori ad aria. Il soffione asciuga le mani ma può diffondere batteri, mentre la carta o i materiali tessili li rimuovono. Lo raccomanda anche l’Organizzazione mondiale della sanità. Bisogna che le tecnologie si integrino meglio con le ragioni del buon senso.
Però non possiamo benedire la carta quando i dépliant intasano la buca delle lettere.
La stampa commerciale può infastidire e sporcare le strade, sicché molte catene di supermercati incentivano l’uso del volantino digitale in nome dell’ambiente. In realtà per lo smaltimento e il riciclo di carta abbiamo risolto il problema. Piuttosto, è l’impatto ambientale dei dispositivi elettronici a essere assai trascurato.
Quanta carta è riciclata?
L’Italia è un paese molto virtuoso: ricicliamo il 65 per cento di tutta la carta e l’85 per cento di quella da imballaggio, per cui siamo primi in Europa e abbiamo già conseguito l’obiettivo fissato al 2030. Il sistema di politica industriale del settore ha funzionato molto bene.
Chi compra un brutto libro deve estendere il rimorso anche all’abbattimento degli alberi?
Si penta solo per il brutto libro, perché dove l’industria cartaria è sviluppata crescono più foreste, con un contributo positivo rispetto al cambiamento climatico. Non si sega il ramo su cui si sta seduti. Le foreste si riducono per altre pressioni: l’espansione dei terreni agricoli o lo sfruttamento delle risorse minerarie. Delle cellulose che importiamo, poi, il 95 per cento proviene da materiali certificati. L’Unione europea ha un sistema di due diligence che ne verifica gli impatti ambientali e sociali.
L’Italia produce tanta carta?
Siamo i secondi in Europa dopo la Germania e i primi nel settore delle carte igieniche e sanitarie, in cui nel mondo ci supera solo la Cina. Gli stabilimenti italiani aprono negli Stati Uniti perché il prodotto è migliore e utilizzano meno energia.
Quanta energia ci vuole per produrre carta? Qual è l’impatto ambientale?
Siamo un’industria energivora come tutte quelle di base, ma l’efficienza è migliorata del 25 per cento in vent’anni e stiamo transitando ai green gas e al riuso dei materiali di scarto per completare un sistema di economa circolare.
Il prezzo della carta ha subìto grossi aumenti. Diminuirà?
È stato per effetto del rincaro energetico, che incide del 30 per cento sui nostri costi industriali. Nel 2022, oltretutto, abbiamo scontato la ripresa delle attività dopo la pandemia, ma già nel 2023 c’è stato un sensibile arretramento dei prezzi, sia perché gli energetici sono diminuiti sia per il calo della domanda. L’anno scorso è stato prodotto il 15 per cento di carta in meno e anche quest’anno l’andamento non brillerà.
Per quali motivi?
C’è minore capacità di spesa, cui s’aggiungono le incertezze economiche e gli effetti dei precedenti aumenti. La tendenza dei prezzi procede al ribasso per le carte domestiche, ma la componente di cellulose importate, che arriva via mare, fatica a diminuire perché l’offerta non è così abbondante e a causa della crisi energetica è stato utilizzato più legno nel mondo.