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L'inquietudine dolcissima di Grossman sul desiderio di eternità e libertà
Comprendere e analizzare il particolare realismo dell’autore di “Vita e destino”. Un saggio
Pubblichiamo un estratto de “Il pensiero di Vasilij Grossman”, il saggio di Giovanni Maddalena edito Rosenberg e Sellier (110 pagine, 16 euro)
Quali sono l’origine e il fine della libertà? L’opuscolo del matto di Dio Ikonnikov, inserito in Vita e destino, risponde a questa domanda amplificando la differenza fra il piano trascendentale e quello dell’uomo e della natura. Con tratti certo non estranei alla cultura russa, nella quale è stata forte l’influenza dell’idealismo tedesco in generale e di Schelling in particolare, Grossman coinvolge tutto il cosmo nel medesimo problema della libertà. Qui l’autore ammette di avere un tempo creduto che la natura fosse esente dal male, che esso riguardasse solo l’uomo. Invece non c’è parte della natura che non sia pervasa dalla stessa sete di autoaffermazione che nell’imporsi conduce anche alla violenta oppressione dell’altro. L’origine della libertà deve quindi essere rintracciata nei singoli individui, a qualsiasi genere essi appartengano, e deve risalire al momento precedente a questa caduta che fa sì che le esigenze inestinguibili e cosmiche dell’individuo corrano il rischio di rovesciarsi nella necessità della cancellazione dell’altro. La domanda precedente va precisata nel seguente modo: qual è l’origine della libertà, anche se essa poi si volge in male? Oppure, più esistenzialmente, come fa l’uomo a sperare con davanti il male dei campi di sterminio creati da una libertà uguale alla sua?
La risposta di Grossman è inequivocabile, anche se a essa possono essere mosse molte critiche: l’origine della libertà è la vita, che ha la propria fonte e il proprio emblema nella maternità. E’ la vita l’ultima e unica spiegazione del bene. La bontà che nasce nel singolo è il riconoscimento del fatto che la vita è bene perché c’è, o meglio perché vive. “Vivi, vivi, vivi… per sempre” è l’urlo della madre di Štrum nel romanzo, l’immaginaria rappresentazione della madre dello stesso autore.
Si potrebbero fare molte osservazioni su questo vitalismo collocato individualisticamente. Come ogni vitalismo esso rischia di scivolare nell’odiato razzismo (di qualunque genere esso sia) o nell’irrazionalismo. Ma è la connotazione individualistica a tenere Grossman fuori da queste strade teoriche: il singolo è bene, chiunque sia, qualunque cosa sia, perché esiste, perché vive. Come ha spiegato Adriano Dell’Asta, è l’esperienza che Grossman contrappone all’ideologia, non un’altra idea, nemmeno l’idea “giusta” dell’individuo. L’obiezione seria che si può avanzare nasce da un altro punto di vista e colpisce il “per sempre” della celebre lettera della madre: che cosa succede quando l’uomo muore? Come fa a vivere per sempre? Qui il vitalismo di Grosmann finisce in scacco. “Quando l’uomo muore, con la vita finisce anche la libertà. L’uomo muore e passa dal mondo della libertà al regno della schiavitù. La vita è la libertà e perciò morire è l’annientamento progressivo della libertà” (Vita e destino).
Eppure rimane il fatto che tale libertà è unica, irripetibile e che in qualche modo la sua incidenza rimane per sempre. “Il riflesso dell’universo nella coscienza di un uomo è il fondamento della potenza umana, ma la vita si trasforma in felicità, libertà, valore supremo, solo se egli, l’uomo, esiste come mondo, persona mai e da nessuno ripetibile nei tempi che non hanno fine” (Vita e destino). Il singolo muore con la sua libertà, eppure tutto grida che quella libertà debba “vivere per sempre”. E’ un’inquietudine bellissima e dolcissima che testimonia quanto questo desiderio di eternità sia profondo e come costituisca l’essenza stessa della vita, anche se in Grossman è e rimane un desiderio che non ha risposta: quando la vita del singolo muore, l’universo si spegne; la libertà, fatta per il tutto, finisce nel nulla” (Vita e destino).
Grossman è quindi un nichilista? La risposta teoretica sembrerebbe affermativa: si tratterebbe allora di un nichilismo cosmico nel quale essere umano e natura subiscono il medesimo destino di annichilimento di vita e libertà. Tuttavia, la passione per il singolo individuo spinge Grossman oltre se stesso, o meglio gli fa sottolineare una direzione del pensiero che non è quella del destino nichilista. Del resto, leggendo Vita e destino, mentre per mane l’amarezza dell’insoddisfazione che il paradigma umanista non placa, nemmeno nella sua accettazione di trascendentali metafisici, non rimane affatto la cupa ombra del nulla o, su un piano morale, dell’inutilità dell’esistente. Amaro ma non al punto da spegnere il gusto. Triste ma non disperato. Il fatto è che Grossman, sebbene teoreticamente convinto che il singolo si spenga per sempre con la morte e che l’universo in qualche modo partecipi della stessa fine, si concentra non tanto su questo destino quanto sull’origine. Egli persiste nel sottolineare la singola esistenza e lo stupore per la sua presenza così da affermare il valore trascendentale della libertà assoluta, con i suoi desideri di compimento, mentre lascia indeterminata la fine e il fine dell’uomo. In altre parole: sull’esito Grossman non riesce a dire niente, ma sull’origine sì: l’origine è un atto libero, come testimonia la positività perenne del rapporto con la madre e l’esistenza stessa di atti liberi. Tra l’origine e il fine si instaura un’apparente contraddizione.
Tant’è che muore il singolo e il suo universo eppure, allo stesso tempo, Grossman è convinto che l’esperienza della libertà vissuta, quella che l’uomo sperimenta in tutti i suoi gradi e in tutte le sue tonalità, in qualche modo rimanga proprio in forza di quella esigenza inesausta che l’ha sempre mossa in vita, così vitale da non fare accettare nemmeno la logica soluzione che tutto si spenga. Questo, del resto, è l’unico senso che si può ascrivere alla “memoria” che emerge nelle due lettere postume alla madre. E’ in questa memoria che anche il dramma del “dire la verità”, ideale a sua volta impossibile, trova la sua pace. “Con te sarò onesto e ti racconterò tutto ciò che provo, ma può darsi che questa non sia la verità completa sul mio conto, perché dopotutto nei miei pensieri avverto non solo ciò che è vero, ma probabilmente molto altro che è falso e sciocco. […] Oggi ti penso proprio come se fossi viva, viva come quando ci siamo visti per l’ultima volta e come quando da piccolo ti ascoltavo mentre leggevi ad alta voce. E sento che il mio amore per te e questa terribile agonia sono ancora oggi uguali e rimarranno con me fino alla fine dei miei giorni. Piango sulle tue lettere perché in esse vedo la tua bontà, la purezza del tuo cuore, il tuo destino terribile e amaro, la tua onestà e generosità, il tuo amore per me, la tua attenzione nei confronti del prossimo e la tua splendida intelligenza. Non ho timore di nulla, perché il tuo amore è con me e perché il mio amore rimarrà con te per sempre” (Le ossa di Berdicev. La vita e il destino di Vasilij Grossman).