la mostra
Amorevoli mostri. I quadri di Ryan Heshka a Milano
La vita dopo la fine del mondo? Assomiglia agli anni Cinquanta delle pin-up e dei drive-in. La mostra “Springs to Come” è una finestra immaginaria sull’idea dell’artista di un “retrofuturo” decisamente ottimistico
Nel romanzo di Stephen King “22/11/63” il protagonista della storia, che vive nel 2011 in un paesino del Maine, scopre un passaggio temporale segreto nello sgabuzzino delle scope di una tavola calda. Quel “buco nero” lo catapulta nel 1958 e gli permette di stabilirsi a Dallas, per cercare di impedire l’uccisione di John Fitzgerald Kennedy e dare al mondo una speranza. Quello straordinario romanzo funziona a sua volta come un varco temporale, e permette al lettore di oggi di respirare la magia dell’America anni 50, fatta di Cadillac dalle tinte pastello, di pin up in tacchi alti e del rock’n’roll dinoccolato di Buddy Holly e Bill Haley. Ma come spesso succede in tante storie che promettono bene il protagonista del romanzo – e chi ha vissuto quegli anni turbolenti – si ritrova tra le mani un futuro piuttosto cupo. A capovolgere il paradigma e a dare speranza in tempi migliori però ci ha pensato l’artista canadese Ryan Heshka, che è appena arrivato a Milano a inaugurare la sua mostra di dipinti “Springs to Come” (a cura di Ivan Quaroni, fino al 28 marzo presso la galleria Antonio Colombo Arte Contemporanea). La mostra è una sorta di finestra immaginaria sulla sua idea di un retrofuturo decisamente ottimistico.
Chiacchierando sotto le volte della galleria milanese prima che la gente venga a celebrarlo, in “attesa della primavera”, il cinquantaquattrenne di Vancouver promette la realizzazione visiva di una metafora, “forse un cambiamento di atteggiamento nel mondo. Penso che tutti abbiamo bisogno di una nota di ottimismo e di speranza. Molto del mio lavoro viene dal fumetto, tra horror e fantascienza, quindi può essere a volte piuttosto oscuro. Con questo nuovo ciclo di dipinti volevo portare un po’ di luminosità nella tavolozza dei colori, nel contenuto, e un po’ di umorismo. Qualcosa che potesse stare in equilibrio tra oscurità e speranza”. A una prima occhiata, a dire il vero, i personaggi che popolano l’universo di Heshka non hanno facce molto rassicuranti: i corpi sembrano appartenere al genere umano ma le teste sono spesso mostruose, bitorzolute, aliene; oppure sono umane, pettinate e imbrillantinate, ma innestate direttamente sul corpo di polpi giganti o masse pelose antropomorfe. Eppure questo universo di freak, personaggi deformi, esseri mostruosi, capricci di una natura sbadata, non fanno per niente paura. Anzi, la pittura accurata e multiforme di Heshka li fa sembrare più umani degli esseri che ci circondano dal vivo, o che vediamo in tv o sui social. “Potrebbe essere una civiltà extraterrestre oppure una realtà parallela alternativa, o semplicemente la versione survivalista del nostro pianeta dopo una crisi climatica, o una singolarità tecnologica di proporzioni epiche”, suggerisce il curatore Quadroni. E infatti ci ritroviamo in un universo fantastico, un mondo folle e selvaggio popolato da pin up mascherate e temibili femme fatale, mostri spaziali, supereroi e subumani, tutti con colori sgargianti e atteggiamenti giocosi.
L’autore la chiama “la prima generazione di nuove forme di vita dopo un’ipotetica fine del mondo”. Trascorrere con lui il pomeriggio è piacevole, vederlo al lavoro mentre ritocca il titolo della mostra dipinto sul momento poco prima del vernissage è molto istruttivo. E poi è anche simpatico e scherzoso: io gli racconto di quando, da adulto, ho ritrovato un vecchio numero dell’Uomo Ragno che aveva pubblicato una mia lettera al “venerabile” direttore, lui ricambia raccontando l’epifania provata quando lo zio gli ha aperto una gigantesca scatola di fumetti Marvel degli anni 60 mai visti prima: “Forse avevo 12 anni, e non sapevo nemmeno che fosse appassionato di fumetti e un collezionista”. Si emoziona ancora oggi, nel raccontare quel momento che è rimasto inciso nella sua memoria: “Una specie di scrigno del tesoro, incredibile. La sensazione di eccitazione è stata unica, (in un’epoca) ben prima di internet, prima delle ristampe… Difficile da catturare di nuovo nella vita adulta, perché c’è quel senso di meraviglia del bambino che vede il suo mondo espandersi in modo esponenziale in un solo momento”. La pittura di Ryan Heshka vive di questo dono luminoso: ha a che fare con la meraviglia del mondo, con lo stupore che rimane impresso in modo indelebile e duraturo, e che viene tramandato di generazione in generazione.
La meraviglia nella scoperta dei fumetti da bambino, “difficile da catturare di nuovo nella vita adulta”, e l’influenza di pittori come Neo Rauch
Nel saggio “I fumetti nella vita di un uomo”, lo scrittore inglese Geoff Dyer paragona le torsioni estreme di Michelangelo alle matite di uno dei grandi del fumetto americano, Jack Kirby, l’inventore, insieme alla geniale fantasia di Stan Lee, dei Fantastici Quattro. E aggiunge che “i fumetti della Marvel mi hanno anche fornito le prime capacità di discriminare nelle arti visive. Non era solo che certi artisti mi piacevano più di altri: certi artisti erano migliori di altri”.
Sono curioso di sapere se Heshka, quando dipinge, guarda ancora indietro all’arte dei grandi del fumetto del passato e lui risponde senza esitazione: “Sì, il loro impatto su di me mi sembra ancora fresco come quando ero bambino”, dice citando proprio Jack Kirby, “ma poi ho iniziato a raccogliere anche altre influenze, dal design all’architettura, dalla moda alle Belle Arti, da pittori contemporanei come Neo Rauch”. Si imbarazza un po’ quando parla del feticismo per le scarpe lucide con i tacchi altissimi che indossano tutte le sue dark ladies i cui riflessi, guardati da vicino, svelano la sua straordinaria tecnica pittorica. Che siano storie horror o storie umoristiche, a Heshka piace giocare con gli estremi, con gli opposti, cercando di un bilanciamento di luci e ombre: “Una sorta di stranezza all’interno dei personaggi stessi, una bellezza con una sorta di bruttezza esterna”. A sentirlo raccontare sembra di stare dentro a un altro romanzo, un grande classico pulp-horror, “La notte del drive-in” (Einaudi) del texano Joe R. Lansdale, in cui la vicenda si svolge nel cinema all’aperto Orbit che “aveva qualcosa di speciale. Era romantico. Era fuorilegge. Era folle. E, alla fine, si dimostrò anche mortale”.
Gli chiedo da dove nasca la sua attrazione per certe mostruosità e lui si illumina citando i grandi classici del genere come Frankenstein, Dracula e Godzilla: “Credo di essere sempre stato attratto dai mostri, da tutta quella cultura pop assorbita da bambino. E’ nato tutto dall’amore per la fantascienza, per gli effetti speciali, ma con l’avanzare della mia pratica artistica ho cominciato a esplorare tutto questo a livello più inconscio. Cercando anche di capovolgere l’immaginario pulp della donna in una teca di vetro, magari mettendoci gli uomini. Un’intenzione anti-patriarcale che ricorre in molti dei miei fumetti”.
Le tele a olio disseminate di umani e animali mutanti, piante e bulbi multicolore, sono dominate da gialli, rossi e verdi accesi e brillanti, che rendono le situazioni ritratte quasi attraenti, per non dire rassicuranti. Il pittore, attento osservatore del mondo invisibile, ricombina gli elementi di un pianeta risorto dopo un lungo inverno, dalle ceneri di una civiltà umana dove qualcosa è andato storto ma che si è trasformato in un eden post apocalittico: “Da bambino ero attratto dal mondo degli insetti, dalla vita degli stagni, gli oceani, di cose che vivevano in un livello inferiore. Una sorta di mondo invisibile”, aggiunge, “un mondo microscopico, che non vediamo. C’era una sorta di misterioso senso di meraviglia”.
L’intelligenza artificiale per illustrare i sogni: “Non voglio utilizzare la mia mano per ricostruirli. Non provengono da me ma da qualche altra parte”
Sono curiosissimo di sapere quanto attinge dall’attività onirica, se qualcosa di ciò che vediamo nei suoi quadri proviene da lì, e mi rassicura constatare che non sono il solo a tenere un diario dei sogni: “Registro più informazioni visive che posso per catturare il sogno, e ho iniziato a fissare i miei sogni su carta molti anni fa. Ho una specie di cartella nel mio telefono dove ci sono le fotografie degli schizzi e degli appunti che ho preso, ma non ho mai saputo cosa farne”. Prende fiato e poi decisamente mi spiazza: “Durante un viaggio in aereo verso la Spagna mi è venuto in mente di usare l’intelligenza artificiale per ricostruire i sogni. Sarebbe un uso perfetto, perché non voglio utilizzare la mia mano per costruirli. Non provengono da me ma da qualche altra parte, quindi penso che usare l’IA come terza parte per ricrearli manterrebbe questa strana qualità. Una sorta di ‘altra mano’”. Ridiamo, perché mi ero tenuto la domanda sull’intelligenza artificiale per ultima, temendo una risposta che non mi sarebbe piaciuta, ma in effetti l’idea di uno strumento digitale per impostare l’animazione di un “mondo inesistente” è stuzzicante. Heshka scherza sul suo essere pigro nel dipingere, ma osservando il dettaglio dei lavori a olio più grandi se ne capisce il motivo perfettamente, ha studiato design di interni all’Università di Manitoba, Canada, dove ha avuto una preparazione puntigliosa sulla materia e sullo spazio: “Facevamo un sacco di disegni dal vero, disegni architettonici, studio della teoria del colore, storia dell’arte, lettering. Sai, tutto quello che si faceva prima del computer”, sorride lui, “cose che hanno influenzato la mia comprensione dello spazio e della prospettiva”.
Il padrone di casa, il gallerista Antonio Colombo: “E’ una pittura attenta e scrupolosa, con particolari vibrazioni, profondità di campo”
Il più raggiante di tutti è però il padrone di casa, Antonio Colombo, uno dei galleristi più innovativi e curiosi del paese, che ha incontrato Ryan Heshka dieci anni fa e negli anni gli ha proposto ben cinque mostre – inclusa questa – sotto le volte di via Solferino: “Sono molto riconoscente a Monte Beauchamp e alle sue edizioni Blab, che ha sempre riunito interessanti artisti dell’area americana che mescolavano fumetto, illustrazione rock e bella pittura. Ed è proprio sulle pagine della mitica rivista Blab che sono arrivato all’universo di Ryan”, dice Colombo che indossa giubbino di pelle rock’n’roll e cappellino Pork Pie all black, “nei suoi dipinti ho riconosciuto qualcosa che avevo già nella mia memoria visiva: i B-movies, i cartoon e anche una pittura attenta e scrupolosa, con particolari vibrazioni, profondità di campo, che per un appassionato di pittura come me sono sempre emozionanti”. Il gallerista ha anche convinto Heshka ad allestire delle teche trasparenti dove sono raccolti gli schizzi preparatori, appunti e disegni, a volte minuti, che raccontano molto del suo straordinario processo creativo.
Per chiudere in bellezza la mostra, che sembra essere stata gradita da un pubblico molto in sintonia con l’immaginario perverso e distopico di Heshka, la discussione sulla qualità della sua pittura è continuata al ristorante dove l’archistar Cino Zucchi, grande fan dell’artista, gli ha chiesto un tatuaggio a pennarello sul dorso della mano e lungo tutto il braccio. Sul suo profilo Instagram Zucchi aveva lodato pubblicamente l’artista canadese, soprattutto per la sua ironia: “Molti anni fa ho acquistato una sua piccolissima opera intitolata ‘Cult Life’, in cui una persona travestita con tunica e mantello verde brillante mangia uova strapazzate da una pentola tenuta da un’amazzone inginocchiata. Tengo questo piccolo quadro, volutamente detestabile, sulla mia scrivania come dispositivo subliminale per separare le persone che ritengo capaci di umorismo (e autoironia) da quelle che non lo sono”. Che sia velato di ironia, di mistero, o volutamente criptico – o tutto mescolato insieme – il mondo di Ryan Heshka mantiene intatto il senso di meraviglia di un bambino, e provoca in chi lo osserva un’illuminazione e un sorriso. Chissà se l’archistar manterrà davvero la promessa di non lavare il braccio per settimane: ma la donna-scarafaggio, la ragazza anfibia e le altre creature mostruose di Heshka fanno davvero sperare che la primavera riesca a spazzare via un po’ di tristezza da questo mondo.