Riccardo De Luca/Anadolu Agency via Getty Images 

I turisti mangiatori felici di gelati ci indicano i luoghi dalla storia fortunata

Andrea Graziosi

La teoria semiseria della “gelateria fase suprema della storia”

Come hanno notato Adriano Sofri e Camillo Longone, le parole di Cecilie Hollberg su una Firenze “schiacciata” dal turismo non sono una novità e ribadiscono idee con una lunga storia e una forte aderenza alla realtà. Accanto a Prezzolini si potrebbero per esempio ricordare i nazionalisti che a inizio Novecento paventavano un popolo di camerieri e musici piuttosto che di guerrieri e navigatori. Quelle letture mi resero per anni il turismo e i suonatori di organetti simpatici, anche perché pure a me piaceva andare in giro e tutti devono pur vivere. 

  
È però innegabile che i nostri centri urbani più belli, da Venezia a Firenze, Roma e ora Napoli (ma il fenomeno non è affatto solo italiano), sono stati occupati e deformati da un flusso turistico in continua crescita, che negli ultimi decenni – complici la crescita dei prezzi che l’accompagna e la crisi demografica – ha contribuito a privarli di una vita “vera”, nel senso di propria, autogenerata. Anche le chiese maggiori sono ormai musei, e a Napoli, l’ultima città italiana a essere colpita dalla denatalità e quella più travolta dal turismo negli ultimissimi anni, sono comparse sui muri scritte come “Tourist go home!”.

   

Poster della Torre di Pisa disegnato per East African Airways, 1965 (Potter and Potter Auctions/Gado/Getty Images) 
   
Qualche tempo fa, durante una visita a Siena, alla domanda chi comanda in città dopo la crisi del Monte, un uomo intelligente che la conosce davvero mi ha risposto, in parte scherzando, in parte no, i gelatai. Mi sono subito ricordato la fortissima impressione di una recente visita a Sirmione, regno di gelaterie che vendono a folle fittissime e soddisfatte gelati smisurati dai colori sgargianti e dai sapori non eccelsi, un po’ come succede anche a Trastevere (a Napoli siamo piuttosto ai coppetti di frittura, ma si sa che le eccezioni fanno la regola). E così, facendo lo storico e pensando sempre alla storia, ho elaborato una teoria semiseria (ma in realtà serissima) che ho chiamato “la gelateria fase suprema della storia”, triste e anche terribile da un certo punto di vista, ma in fondo ottimista.

   
La teoria è questa: le folle di mangiatori felici di gelato si accalcano nei posti con cui la storia è stata buona, e che hanno quindi non solo grandi e gloriosi passati, monumenti meravigliosi, e spesso una fantastica cultura culinaria (Venezia come Monemvasia, Dubrovnik o Granada), ma anche una popolazione che ancora li abita, anche se magari si è trasferita nelle vicinanze. Avere i gelatai (o i proprietari di bed and breakfast) al potere è quindi il frutto di una storia fortunata, che come tutte le storie non può che finire, ma che almeno ha lasciato questo. Ci sono poi i posti meno fortunati, come Machu Picchu o Giza, dove il grande passato c’è ma la memoria della popolazione (se non la popolazione) è scomparsa, si va per vedere dei resti e di gelati ce n’è pochi; i posti sfortunati, che pure hanno fatto la storia, ma male, e dove non si va né a vedere né a mangiare gelati, come la Ruhr o il Donbas; quelli molto sfortunati come Chornobyl’, dove è meglio non andare; e quelli terribili, come Birkenau, dove si va, ma per star giustamente male.

  

Marco Bulgarelli / Gamma-Rapho via Getty Images 
 
Le masse e le gelaterie sono quindi e paradossalmente un privilegio di quelli ai quali è andata molto bene, anche se si traducono in una vita meno vera o forse solo meno importante. Del resto, alla vita vera e importante si può aspirare come individui che partecipano di nuove culture e di nuove comunità (l’Italia, l’Unione europea, sperabilmente un nuovo occidente), anche se soffrendo, e non poco, per i colori assurdi dei gelati, lo stile sciagurato dei negozi e il crollo della qualità del cibo per “nativi” costretti a vedere i loro posti occupati da turisti che hanno gusti diversi e fanno alzare i prezzi perché, comprensibilmente, vogliono le nostre cose buone, frutto del nostro buon passato, e partecipandone inevitabilmente le snaturano. A volte, di nuovo scherzando ma non troppo, penso che ci berranno tutto il vino e ci mangeranno tutti gli spaghetti (quelli veri intendo), o letteralmente, o mettendoli al di là nella nostra portata, o facendogli cambiare sapore.

   
E così, un vecchio amante del turismo e dei turisti è arrivato a chiedersi se in fondo il turismo non sia più invasivo e pericoloso dell’industria pesante, che almeno qualche decennio di prosperità, come le acciaierie e le auto, lo ha assicurato. Quanto e quanto pesantemente altera le zone che tocca? E che succede quando i flussi turistici cambiano, e cambiano come dimostra il subitaneo arrivo a Napoli di quelli prima diretti a Barcellona, sul Mar Rosso o in Turchia? Che faranno allora gelaterie, friggitorie, e i loro addetti? Sono le domande che i governi, quello italiano come quello europeo, dovrebbero farsi per regolare e dirigere un fenomeno benefico, perché porta benessere a tanti, ma che può anche provocare catastrofi, e comunque lo snaturamento di posti talmente belli che è difficile vengano dimenticati, ma il cui stile e il cui decoro andrebbero tutelati, mentre si pensa a come garantire il futuro di un paese che non sarebbe saggio affidare solo al turismo.