Beppe Sala - foto Ansa

A Milano

Le rocambolesche ricadute dello sgarbo fiorentino di Gennaro Sangiuliano sul teatro di Milano

Maurizio Crippa

Il sindaco preferisce non scegliere, ma il ministro insiste su Carlo Fuortes. Nel caos, emergono nomi come Ortombina, Orazi o Michele Dall’Ongaro, voluto da Gianni Letta

Il deragliamento musicale sulla linea Firenze-Milano rischia di buttare in un cacofonico caos, dopo il Maggio Fiorentino, anche il top di gamma Teatro alla Scala. Come raccontato ieri dal Foglio, la prevista nomina “liscia liscia” di Carlo Fuortes al Maggio (Meloni e il ministro Gennaro Sangiuliano avevano qualche motivo di riconoscenza) ha rischiato di saltare perché all’ultimo il ministro, forse per troppa foga di nomina, forse per mascariare il povero Dario Nardella, ha tentato di imporre l’ex commissario del Maggio, e uomo del Mic, Ninni Cutaia. Che c’entra la rissa istituzionale in riva all’Arno con i futuri destini scaligeri? Qualche vecchia ruggine c’è, erano stati Beppe Sala, che è presidente della Scala, e Giovanni Bazoli, molto più che un primus inter pares nel cda del teatro, a rispedire al mittente le richieste per un approdo di Fuortes alla Scala, indispettendo il governo. Ma anche alla Scala esistono gli arcana imperi, e i famosi non-detti che solo gli addetti sanno decifrare. Per cui i veleni fiorentini (un ministro di destra che fa dispetti a due sindaci di sinistra? Ahi ahi) rischiano  di ripercuotersi a Milano dove il cda deve trovare il nome del nuovo sovrintendente entro il 2024 (Dominique Meyer scade nel 2025) e dove la situazione è ancor più ingarbugliata. Sala, surplassista di lungo corso, preferirebbe non scegliere e tenersi Meyer. Ma è dura.
 

Il ministro che nomina due posti in cda ed eroga oltre 30 milioni di contributo all’anno per le casse  milanesi la pensa diversamente. E oltre ad avere rimesso in pista l’ex legge ad personam che avrebbe dovuto portare Fuortes al San Carlo (i 70 anni di limite per la nomina, e il francese li compirà nel 2025), a Roma hanno soprattutto detto basta allo straniero (Meyer è il terzo forestiero consecutivo a Milano dopo oltre due secoli di italiani). Al governo sovranista si aggiungono i critici per la gestione artistica della Scala in questi anni. E non sfugge poi che Meyer raccoglie la doppia carica di sovrintendente e direttore artistico, e sul fatto che sia oggi meglio separare le due cariche sono tutti d’accordo. Ma sul nome del successore invece è notte fonda. La regola è la stessa di Firenze, il cda propone  il nome e il ministro  ratifica. Ma dopo il caso Maggio, a Milano non sanno bene se fidarsi dell’iperattivo ministro. Del resto Sala ha appena ingoiato il rospo di un La Russa allo Strehler, e anche la scelta del direttore di Brera non è stata condivisa col consueto garbo istituzionale.
 

Un terzo schiaffo non piacerebbe né al sindaco né al patriarca, e main sponsor della Scala, Nanni Bazoli. I nomi che girano da tempo sono quelli di Fortunato Ortombina, sovrintendente e direttore artistico alla Fenice, gradito al direttore musicale Riccardo Chailly, ma con almeno tre ostacoli: Ortombina fin qui si sarebbe dichiarato indisponibile a rinunciare alla carica di direttore artistico; Sangiuliano di fatto ha bruciato il suo nome facendo infuriare il cda scaligero; infine nuoce il posizionamento a destra di Ortombina, emerso anche per la sua disponibilità a Venezia nei confronti di Alvise Casellati, bravo direttore ma portatore di un noto cognome politico. L’eterno Salvo Nastasi non fa impazzire i milanesi e anche Sangiuliano ne teme l’indipendenza (o il legame con Franceschini?). Nelle ultime ore si è aperta la strada per Claudio Orazi, sovrintendente a Genova, uomo di istituzioni, con enorme esperienza, ed è previsto un suo incontro a Milano con Sala. Sarebbe una candidatura capace di sopire le moltissime tensioni e lui ha fatto sapere che non toccherebbe la carica di Chailly, il che risolverebbe uno dei rebus complicati. Infine c’è il candidato di Gianni Letta: Michele Dall’Ongaro, presidente di Santa Cecilia. Letta è stato chiamato in causa da Bazoli, spazientito per l’incapacità di sindaco e ministro di trovare la quadra, e i due arzillissimi amici, Bazoli 91 e Letta 88, sarebbero determinati su Dall’Ongaro, che porta l’assicurazione, via Bazoli, della permanenza di Chailly. A questo punto resta solo da capire se Sala, dopo gli sgarbi di Roma, accetterà di lasciar fare di testa loro ai due terribili vecchietti.  Lui vorrebbe recitare il suo ruolo, si vedrà.

  • Maurizio Crippa
  • "Maurizio Crippa, vicedirettore, è nato a Milano un 27 febbraio di rondini e primavera. Era il 1961. E’ cresciuto a Monza, la sua Heimat, ma da più di vent’anni è un orgoglioso milanese metropolitano. Ha fatto il liceo classico e si è laureato in Storia del cinema, il suo primo amore. Poi ci sono gli amori di una vita: l’Inter, la montagna, Jannacci e Neil Young. Lavora nella redazione di Milano e si occupa un po’ di tutto: di politica, quando può di cultura, quando vuole di chiesa. E’ felice di avere due grandi Papi, Francesco e Benedetto. Non ha scritto libri (“perché scrivere brutti libri nuovi quando ci sono ancora tanti libri vecchi belli da leggere?”, gli ha insegnato Sandro Fusina). Insegue da tempo il sogno di saper usare i social media, ma poi grazie a Dio si ravvede.

    E’ responsabile della pagina settimanale del Foglio GranMilano, scrive ogni giorno Contro Mastro Ciliegia sulla prima pagina. Ha una moglie, Emilia, e due figli, Giovanni e Francesco, che non sono più bambini"