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La recensione

Fare, creare, generare: questo è ciò che fa un uomo libero. Anche oggi

Michele Silenzi

"Possiamo ancora decidere qualcosa nel mondo che abbiamo costruito?”. Al centro del nuovo libro di Mauro Magatti e Chiara Giaccardi un tema simbolo del tempo moderno: la libertà

Se dell’ultimo libro di Mauro Magatti e Chiara Giaccardi Generare libertà (il Mulino, 176 pp., 15 euro), un lettore si fermasse alla bandella crederebbe di avere in mano il solito trascurabile saggio infarcito di ormai usurate categorie politico-sociologiche. Invece, dopo aver pagato pegno a ciò che richiede l’attualità giornalistica, vi si trova un tentativo di fare ciò a cui pochi testi, in questi anni, ambiscono, ossia stabilire un orizzonte teoretico da cui poter partire per analizzare concretamente l’epoca. “Oggi a contare sono da un lato i numeri, i dati – circondati da una idolatrica aura di verità – e dall’altro la pura opinione individuale, emotiva e spesso infondata”. A soffrire è la capacità di pensare, ossia di astrarre dalla realtà concettualizzando per poi farvi ritorno con realismo. 


Il pensiero che gli autori inseguono ruota attorno al tema più importante e più problematico del tempo moderno: la libertà. Riconosciuto alla società occidentale liberale e capitalista un successo senza precedenti nel sollevare dalla miseria miliardi di persone nel mondo, gli autori si domandano come in quella che definiscono “supersocietà” (la nostra, fatta di tecnica, controllo, integrazione sistemica e riduzione massima del rischio) sia ancora possibile definire gli orizzonti effettivi della libertà. Se tutto è sempre più calcolabile e razionalizzabile, se le procedure secondo cui eseguire ogni azione possono essere definite con certezza su un’ascissa e un’ordinata, “possiamo ancora decidere qualcosa nel mondo che abbiamo costruito?” L’idea di vita che sta al centro della riflessione di Magatti e Giaccardi è quella di una potenza dinamica, strutturalmente indeterminata, mobile e, pertanto, in grado di generare continuamente libertà grazie al fatto che ogni soggetto è relazionalità non costruibile a priori. Una simile idea di vita-libertà si scontra inevitabilmente con una idea di società che vede nella necessità del controllo e della messa a sistema un ideale assoluto in quanto matematizzabile, controllabile, statisticamente validabile. Una società timorosa, in cui rischio e sofferenza vanno ridotti al massimo ed eventualmente eliminati. Una società così inclusiva da pretendere di garantire ogni forma di differenza per via legale, non generando altro che crescente uniformità (importanti le pagine dedicate alla mania della diveristy e all’immiserimento simbolico-linguistico rappresentato dallo schwa). 


Tuttavia, nel libro non c’è alcuna forma di luddismo o di edenico passatismo, anzi. C’è la piena consapevolezza del fatto che tra “naturale” e “artificiale” non vi sia in realtà alcun grado di separazione e la convinzione che questo nostro mondo, se non il migliore dei mondi possibili, è sicuramente un ambiente formidabile per permettere lo sviluppo e la generazione della libertà. Inoltre è un libro privo di inutili compatimenti che invita al coraggio e al rischio rappresentato da una vita vissuta. Il concetto di generatività, centrale nella proposta degli autori, è sfuggente come un’anguilla, o come il concetto di tempo secondo Agostino. Ma lo è perché tale è la “vita vivente” che interessa gli autori, ossia una vita non cristallizzata, sempre capace di riprodursi, di mutare, di avanzare, di farsi relazione e quindi libertà. Per gli autori “il paternalismo sotto le spoglie della protezione e dell’aiuto contraddice il principio generativo” aggiungendo che l’immaginario di una vita senza morte, imperante in una società che vuole massimamente ridurre il rischio, riduce la potenza creatrice dell’esistenza. Parole che riecheggiano a livello esistenziale la distruzione creatrice schumpeteriana. 

Se vi è un luogo in cui il principio generativo trova capacità esplicativa e reale forma originaria è la famiglia che viene intesa non come tribù separata, ma come luogo fondativo della libertà possibile. La famiglia è il primo luogo in cui si impara la cura di sé e degli altri, a far valere le differenze in un contesto relazionale, a curarsi delle cose non come cura teorica di un qualche astratto bene comune ma sentendole vicine. È inoltre il luogo in cui si comprende il principio di autorità (che gli autori riconducono alla radice augeo, far crescere) contro l’orizzontalismo indifferenziante. È il luogo in cui essere curati, cresciuti e liberati per essere lasciati andare a generare altro e altri. In tal modo si dà forma al carattere “eccedente” della vita, al suo tendere sempre “oltre”. Così si dà forma a quel “più-di-vita” che è quanto vi è di costitutivamente umano: fare, creare, generare, imprimere la propria impronta nel mondo, perché questo è ciò che fa un uomo libero.
 

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