Un campo nel Missouri - foto via Getty Images

Letture

Da fuori catalogo al Meridiano. John E. Williams e la riscoperta di "Stoner"

Giulio Silvano

La riscoperta dell'autore, che per il suo successo deve ringraziare la francia. Il celebre romanzo vendette appena duemila copie dopo la sua pubblicazione. La fama arrivò solo dopo. Un libro

"Thank God the French exist". Grazie a dio esistono i francesi. Finiva con questa frase Hollywood Ending dove Woody Allen interpreta un regista che nasconde la propria cecità mentre gira un film. Film che è un flop in America ma che in Francia è un successone, e la Francia è quella che “sets the tone” per il resto dell’Europa, le recensioni lo chiamano “un vero artista, un genio”. Ecco, “Thank God the French exist” avrebbe potuto dirlo anche John E. Williams, se solo fosse stato ancora vivo quando i francesi hanno fatto diventare un best seller uno dei suoi romanzi. Giusto con qualche anno di ritardo rispetto all’uscita.
 

L’opera di Williams, nato in Texas nel 1922 e morto nel 1994, nei primi anni dieci del 2000 ha vissuto una reinassance. Il suo romanzo sulla vita piena di delusioni di un accademico medievista dell’Università del Missouri, figlio di contadini, per qualche motivo, quarantotto anni dopo la pubblicazione, diventò un must per i francesi. La scrittrice Anna Gavalda lo tradusse e si impegnò a diffonderlo, dandogli una nuova vita. Dal 2012, con la benedizione parigina, anche in Italia, in Inghilterra, in Israele era facile trovare una copia di Stoner sui coffee table e i comodini e le sedie a sdraio. Il passaparola e i social lo avevano fatto ritornare sulle scene. A Londra Ian McEwan, Julian Barnes e Nick Hornby si dissero entusiasti. In Usa la sua riscoperta fu applaudita da Bret Easton Ellis e da Tom Hanks, su Twitter. In pochi, anche in America, fino ad allora avevano sentito il nome di Williams. “Il più grande romanzo americano di cui non avete mai sentito parlare”, titolò il New Yorker dopo la riscoperta.
 

Nel 1965, quando Stoner uscì, aveva venduto duemila copie per poi andare praticamente fuori commercio. Era il terzo romanzo dello scrittore, accademico anche lui, come il suo triste protagonista di cui conosciamo la morte nelle prime righe del libro. Giusto quello successivo, Augustus, ricevette un premio che Williams fu costretto a condividere con un autore che non amava per niente, John Barth. Ed è proprio in questo confronto che vediamo – e in parte capiamo – l’insuccesso della prosa di Williams, forse troppo misurata e pulita, troppo seria per molti, in un’epoca – dopo il modernismo figlio della prima guerra – dove si scherzava un sacco, sulla suburbia, sul Vietnam, sul sesso. Forse valori troppo conservatori quelli che si intravedevano in Butcher’s Crossings. Forse poco entusiasmo nelle nevrosi e nei desideri. Stoner è il contrario di Gatsby, nello spirito e nell’esuberanza, ma è anche molto lontano da uno Zuckerman o, se si vuole restare nella campus novel, di un David Kepesh o di un Grady Tripp o di Jack Gladney. Le poesie di Williams, quando uscivano, venivano considerate “troppo impersonali”, la scrittura “poco articolata”. Razionalità sopra il sentimento. Quando mandò le prime bozze di quello che sarebbe diventato Stoner l’agente rispose che “la scelta di una tecnica narrativa quasi ininterrotta è considerata fuori moda e il suo argomento potrebbe risultare deprimente per il lettore medio”.
 

Mondadori ha acquisito il catalogo di Williams e ha deciso di inserirlo nel famedio dedicandogli un Meridiano – vedendolo in libreria in molti non riconosceranno la foto dello scrittore, e questo dice molto della tua legacy (a meno che tu non sia Thomas Pynchon). L’introduzione del volume, che raccoglie tutti i romanzi e le poesie, è scritta da Francesco Pacifico (segno della freschezza portata del nuovo boss della Pléiade italiana, Alessandro Piperno). E Pacifico si fa la domanda giusta, lui che è cresciuto – generazionalmente e geograficamente – con le influenze volenti o nolenti degli autori portati in Italia da Minimum Fax, i Barth appunto, e i Carver e gli Yates, “i nemici” di Williams, ma anche i Vonnegut e i Cheever, e tutto quel pantheon a stelle e strisce che va da Bellow fino a Philip Roth. Williams aveva un completo “disinteresse per la moda letteraria del tempo”, scrive.  Si chiede Pacifico: perché proprio adesso Stoner, e quindi Williams, sono tornati importanti, letti, discussi? Che cosa ci dice di noi? “Solo un’epoca di rinnovata crisi come quella che segue il crollo delle Torri Gemelle, l’operazione militare Shock and Awe, il Patrioct Act e la crisi dei mutui subprime può finalmente apprezzare uno scrittore che indica la via per un’accettazione della vita che mantenga la possibilità di una dignità dell’esperienza umana anche dove non ci si sente più artefici del proprio destino”, scrive Pacifico. Dimmi cosa ripeschi dal fuori catalogo e ti dirò chi sei

 

Di più su questi argomenti: