la recensione
L'Italia in pratica. In un libro, i grandi esempi da cui ripartire
Basaglia, Don Milani, Olivetti. Dadati e Battista Menzani raccontano il primato dell’azione sulla teoria e riportano in superficie azioni e storie ormai entrate in un bagaglio culturale collettivo
Esiste davvero un’Italia migliore? O è solo una trita retorica per alimentare uno sport nazionale che vive di estremi localismi e frazionamenti continui all’interno di un gioco gattopardesco di posizione. Perché se tutto invece di cambiare semplicemente slitta silenziosamente sotto una coltre di vacua indignazione, può mantenere uno status quo con l’unico obiettivo realmente concreto di tutelare posizioni di rendita più o meno legittime, ma di certo sempre più ingombranti in una società contemporanea.
Una chiave per rivelare una possibile e concreta differenza sembrano invece averla individuata Gabriele Dadati e Giovanni Battista Menzani, curatori del volume "Ripartire da qui", terzo titolo della giovane casa editrice indipendente Low. Il volume prende in analisi una serie di esperienze che in qualche modo possano rappresentare secondo i curatori esempi sostanziali di un’Italia migliore, ma che in verità rappresentano sia qualcosa di più e anche qualcosa di diverso, ovvero dei punti di rottura. Nessun scivolamento, ma azioni perentorie e a tratti rivoluzionarie come è il caso del professore Franco Basaglia e del movimento a cui diede vita e che portò alla chiusura dei manicomi italiani, veri e propri lager e assoluta vergogna in un paese democratico. La spinta innovatrice di Basaglia, che da Gorizia arrivò poi a palesarsi nella sua più esatta completezza nell’esperienza virtuosa di Trieste, fu infatti in grado di aggregare forze e intelligenze al di là di logiche di classe e di professione. E forse bisognerebbe ragionare fuori da ogni stereotipo su quello che fu prima ancora che l’eredità, l’origine di quello che poi sarebbe stato il movimento del 1968. Perché è attorno a quel giro di Novecento che molte di queste esperienze si palesano. A partire dall’esperienza della scuola di Barbiana di Don Milani fino all’azione culturale antimafia di Peppino Impastato a Cinisi. Tutte fanno parte infatti del medesimo brodo culturale. Un brodo poi in parte avariato o quantomeno frainteso, ma che aveva un portato valoriale che oggi possiamo rilevare in particolare – come per Basaglia e anche per Adriano Olivetti – nella sua azione pratica. In una pratica che fu in grado di precedere una teoria che anzi molte volte tese a tradire le esperienze di una stagione che tutto avrebbe potuto essere meno che irripetibile.
"Ripartire da qui" intende così non solo riportare in superficie azioni e storie ormai entrate in un bagaglio culturale collettivo, ma liberarle da una forma di impossibilità che le rende oggi impigliate al passato. Ripartire è invece il senso di un discorso che deve riprendere il proprio passo e andare oltre una generica difese dei diritti per ritornare a sporcarsi le mani nelle cose, nelle contraddizioni come nella forza generativa del conflitto. Rigenerare una società oltre una pacificazione conformistica evidenziando la forza rivoluzionaria di un pensiero che fu istintivo quanto fu meditato nella sua pratica. Un ritorno ai territori e a comunità di riferimento non in quanto enclave non di rado autoriferite, ma in quanto spazi di inclusione e partecipazione concreta.