(foto LaPresse)

la riedizione

Leggere Stendhal per scoprire un vero “Open to Meraviglia” di Milano

Giulio Silvano

Nei diari dei viaggi italiani dello scrittore francese troviamo la più efficace strategia di marketing del nostro turismo (soprattutto per il capoluogo lombardo)

Nel cimiterino di Montmartre tra le sepolture illustri c’è quella di Stendhal, pseudonimo di Henry Beyle. Sulla sua tomba c’è scritto, in italiano, per sua volontà: “Arrigo Beyle, milanese. Scrisse, amò, visse”. Stendhal nella sua opera sembra quasi ossessionato – lo vediamo anche nella sua Certosa – dal voler trovare le differenze tra italiani e francesi, mettendo i secondi in cattiva luce. Una pratica quasi snob, e piuttosto rara oltralpe. Il suo amore per Milano espresso nella lapide lo troviamo ben spiegato nei suoi diari dei viaggi italiani, Roma, Napoli e Firenze, appena pubblicati in una nuova edizione, traduzione di B. Schacherl, da Humboldt Books. Al testo fanno compagnia alcune fotografie ghirresche di Delfino Sisto Legnani, dove l’Italia in miniatura romagnola permette un gran tour romantico della penisola in meno di un’ora, e dove le monete lanciate nella fontana di Trevi sono più grandi della faccia barbuta di Oceano. 

 

Queste pagine di Stendhal sono tra le prime buttate giù, ben prima di raggiungere la fama come romanziere, o di diventare console a Civitavecchia. E quello che esce fuori è appunto una gran pubblicità per Milano, tanto che potrebbe usarlo l’ufficio marketing di Palazzo Marino in questo periodo che, dice Beppe Sala, si tende a odiare e attaccare la città perché è di moda farlo. Certo, nel primo ’800 non c’era il problema dello smog – al massimo della cacca di cavallo sulle strade – e nemmeno la gentrification e i ciclisti ammazzati. Molte le frasi dello scrittore, allora giovane militare napoleonico, da mettere nei poster turistici, al posto della ferragnesca “Open to Meraviglia”, uno Stendhal potenziato con l’IA con i calzini arcobaleno e la sponsorizzazione di qualche brand di moda. Per lui il Duomo di Milano illuminato di notte è “uno spettacolo incantevole e unico al mondo”. Questa “selva di guglie di marmo, accentua l’effetto pittoresco dello stupendo sfondo delle Alpi che si staglia nel cielo. Non ho mai visto nulla al mondo di più bello”. E ammirando la cupola del Duomo sopra gli alberi di villa Belgiojoso, con i suoi affreschi, dice “la Francia non ha prodotto niente che possa stare al paragone”. E ancora elogi a Verri e Beccaria. Intravisto il Manzoni a una cena. 

 

Salendo sui bastioni di porta Venezia, “che si elevano trenta piedi sopra alla pianura. Vista di là la campagna assomiglia a una foresta impenetrabile, ma di là da essa si scorgono le Alpi con le cime ricoperte di neve. E’ uno dei panorami più belli che possa rallegrare la vista”. E poi frasi diventate cliché per chi arriva anche oggi in città e cerca la bellezza: “Quello che mi piace di più a Milano, sono i cortili all’interno dei palazzi. Sono pieni di colonne e, per me, le colonne in architettura sono ciò che il canto è nella musica”. Chissà cos’avrebbe detto di piazza Gae Aulenti. Flanêur, – “la cosa più gradevole per me, a Milano, è bighellonare”, dice – passa molto tempo a Brera, e secondo lui il cortile del palazzo è più bello di quello del Louvre. Ma non solo monumenti: “Le bellezze viventi che incontro giungono a distrarmi da quelle artistiche”, e ancora: “Alla corsia dei servi è inconcepibile non incontrare una delle dodici donne più belle di Milano. Passeggiando a questo modo mi sono fatto un’idea della bellezza lombarda, una delle più conturbanti, e che nessun grande pittore ha immortalato nei suoi dipinti”. 
Ma oltre le esternazioni da expat entusiasta, da colto provinciale in Erasmus, ci sono anche frasi che qualcuno potrebbe voler sventolare a Pontida: “In Italia, il paese civile finisce col Tevere. A mezzogiorno del fiume, vedrà l’energia e la felicità dei selvaggi” (si spera che, rese nuovamente pubbliche queste parole, Stendhal non venga cancellato dalle scuole del meridione). Ma, aggiunge lo scrittore, che Napoli è l’unica città “che in Italia abbia il chiasso di una capitale”, chissà se è un complimento. Se a Roma e al sud tutto si basa sui riti, “il sentimento del dovere è carnefice del nord”, insomma #MilanoNonSiFerma.

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