"Sherlock Holmes a New York" è un film per la televisione del 1976. Holmes e Watson sono interpretati da Roger Moore e Patrick Macnee (Olycom) 

Holmes, l'originale. Chi è l'uomo in carne e ossa dietro lo Sherlock di carta

Massimiano Bucchi

Per il suo detective, Conan Doyle si ispirò al medico Joseph Bell: con le sue geniali osservazioni instillava fiducia nei pazienti

È uno degli incontri più celebri della storia della fiction. “‘Come va?’, mi disse quello, cordialmente, stringendomi la mano con una stretta vigorosa che non mi sarei mai aspettato. ‘Vedo che siete stato in Afghanistan’. ‘E come fate a saperlo?’, protestai, stupito. ‘Lasciamo perdere’, disse, ridacchiando”.

 

Siamo alle prime pagine di Uno studio in rosso, primissima avventura di Sherlock Holmes (1887) e al primo incontro tra il protagonista e quello che ne diverrà il fidato assistente e biografo, il medico John H. Watson. Poche pagine dopo, Holmes spiega come ha fatto a dedurre la permanenza di Watson in Afghanistan. “Ecco qui un signore che ha l’aria del medico, ma ha anche l’aria di un militare, dunque è, evidentemente, un medico militare. La sua faccia è molto scura, ma non si tratta di colore naturale della pelle, perché i suoi polsi sono chiari, si tratta di abbronzatura, dunque, è, evidentemente, di ritorno dai tropici. Il suo aspetto non è molto brillante, dunque è, evidentemente, reduce da malanni e privazioni. Il suo braccio sinistro è rigido e in posizione innaturale, dunque è evidentemente ferito di guerra. Allora, in quale parte dei tropici un medico dell’esercito inglese può essersela vista tanto brutta e rimediare una ferita a un braccio? E’ chiaro: in Afghanistan. L’intero ragionamento è durato meno di un secondo”. 

 

Una scena simile è avvenuta davvero, e non una volta sola. Ma il protagonista non era però il personaggio ideato da Arthur Conan Doyle, bensì un medico in carne e ossa, il dottor Joseph Bell. Così lo stesso Conan Doyle racconta l’incontro di Bell con un paziente che non aveva mai visto prima. 

 

“Bene”, disse Bell dopo un rapido sguardo al paziente, “lei ha servito nell’esercito”. “Sì, signore”. “Non vi siete congedato da molto tempo, vero?”. “No, signore”. “Un reggimento scozzese?”. “Sì, signore”. “Sottufficiale?”. “Sì, signore”. “Di stanza a Barbados?”. “Sì signore”.

 

Poi Bell si voltò verso gli studenti sconcertati. “Vedete, signori”, spiegò, “si tratta di un uomo rispettoso ma non si è tolto il cappello. Non si fa nell’esercito, ma se fosse stato congedato da molto avrebbe appreso i modi civili. Ha un’aria di autorità ed è ovviamente scozzese. Per quanto riguarda le Barbados, la malattia che lamenta è l’elefantiasi [nota anche come filariasi linfatica, una malattia parassitaria causata da nematodi], che si trova nelle Indie occidentali e non in quelle britanniche, e i reggimenti scozzesi sono appunto presenti in quell’isola”. 

 

Al cinema, il volto più noto di Holmes è quello di Basil Rathbone, qui nella locandina delle “Avventure di Sherlock Holmes” del ’39 (Olycom) 
   
Ma chi era Joseph Bell? Bell nasce a Edimburgo il 2 dicembre 1837 dal medico Benjamin Bell e da Cecilia Barbara Craigie. Il bisnonno, anche lui Benjamin di nome, era stato una figura di primo piano della medicina scozzese, pioniere di una chirurgia fondata su “basi scientifiche” e sulla riduzione del dolore. Il suo manuale in sei volumi, A System of Surgery (1783-1788), pubblicato in varie lingue tra cui l’italiano, fu a lungo un riferimento imprescindibile.

   

Una brillante carriera porta Bell a divenire il medico chirurgo personale della regina Vittoria nei periodi in cui quest’ultima soggiornava in Scozia

  
Joseph studia medicina a Edimburgo. Il suo mentore è un’altra leggenda della chirurgia scozzese, James Syme. “Cerca di apprendere le caratteristiche di una malattia o di una ferita con la stessa precisione con cui conosci le caratteristiche, l’andatura, i modi di fare del tuo amico più intimo”, gli spiega Syme. Bell si laurea nel 1859 con una tesi sul cancro epiteliale. Nel 1865 diviene assistente dello stesso Syme e nello stesso anno sposa Edith Kathryn Erskine Murray. Inizia una carriera brillante che lo porta a divenire, tra l’altro, il medico chirurgo personale della Regina Vittoria nei periodi in cui quest’ultima soggiorna in Scozia. Nel 1866 pubblica il volume Manual of the Operations in Surgery. Quando assume la presidenza della prestigiosa Harveian Society, nota con il suo caratteristico humour che “il mio bisnonno faceva parte di questa associazione 115 anni fa, mio nonno 60 anni fa, mio padre era presidente 30 anni fa. Stupisce che non vi siate stufati di questa famiglia”.

   

Incontra all’università di Edimburgo Arthur Conan Doyle, che lo descrive come “un uomo davvero straordinario, nel corpo e nella mente”

  
L’incontro con Arthur Conan Doyle risale al 1877, quando Conan Doyle inizia gli studi in medicina all’Università di Edimburgo e frequenta le lezioni di Bell. All’epoca, Bell ha trentanove anni. Così lo descrive Conan Doyle nella sua autobiografia (Memories and Adventures, 1923-24). “Era un uomo davvero straordinario, nel corpo e nella mente. Era magro, asciutto, scuro, con un viso acuto dal naso alto, occhi grigi penetranti, spalle spigolose e un modo di camminare a scatti, pieno di energia. La sua voce era alta e dissonante”.

 
Al secondo anno di università, Conan Doyle viene reclutato da Bell come “outpatient clerk”. “Per qualche ragione che non ho mai capito, mi selezionò dalla massa di studenti che frequentavano i suoi reparti e mi fece diventare il suo assistente di ambulatorio, il che significava che dovevo classificare i suoi pazienti, prendere semplici appunti dei loro casi e poi farli entrare, uno ad uno per uno, nella grande stanza in cui Bell sedeva solenne, circondato dagli studenti”. A questo punto entrava in campo la sua formidabile capacità di osservazione. Era in grado di dire dove era stato un marinaio sulla base dei tatuaggi e di ricostruire la professione di un paziente osservandone le mani. Sapeva riconoscere la provenienza sulla base dell’accento e analizzare la grafia. “Dovete imparare a osservare”, spiegava Bell agli studenti, “se il paziente vede che a prima vista sapete molto del suo passato, avrà più fiducia nel valore curativo del medico”. Così, in un certo senso, Conan Doyle fu il Watson di Joseph Bell. “Gli bastava uno sguardo per sapere molto di più su un paziente rispetto a tutti gli appunti che avevo preso io”. Bell mette con discrezione la sua abilità anche al servizio della giustizia in numerosi casi tra cui il “mistero di Ardlamont”, un celebre caso giudiziario dell’epoca.

    

Non è certamente un caso che la primissima apparizione di Holmes lo veda chino sul microscopio a osservare un campione di sangue

   
Nel 1887, dopo aver iniziato a lavorare senza grande fortuna come medico in patria e all’estero, uno squattrinato Arthur Conan Doyle pubblica Uno studio in rosso, il primo romanzo con protagonista Sherlock Holmes. Bell non è l’unica figura a dare spunti per modellare il protagonista. Negli anni in cui Conan Doyle frequenta l’università a Edimburgo insegna anche Joseph Lister. Nel 1867 Lister aveva rivoluzionato la chirurgia e posto le basi per salvare milioni di pazienti dalle ricorrenti infezioni post operatorie introducendo, tra lo scetticismo dei colleghi, il metodo antisettico. Tramite le lezioni di Lister, Conan Doyle ebbe accesso alla rivoluzione scientifica che stava trasformando la medicina con studi come quelli di Pasteur e Koch. Non  è certamente un caso che la primissima apparizione di Holmes lo veda chino sul microscopio a osservare un campione di sangue. “Ho trovato! Ho trovato – gridò apostrofando il mio compagno e correndogli incontro con una provetta in mano – ho trovato un reagente che precipita con l’emoglobina e con nient’altro”. Nel racconto Il pollice dell’ingegnere, Watson disinfetta una ferita con l’acido fenico secondo il metodo praticato da Lister. Un’altra influenza fondamentale durante gli studi fu quella del docente e medico legale Sir Henry Littlejohn, celebre per le sue “lezioni sul campo” e gli esempi fondati sui casi criminali che seguiva. Memorabile la sua intuizione che l’arsenico utilizzato per un delitto provenisse dalla carta da parati.  Figura di spicco della medicina di Edimburgo era anche Robert Christison, maestro della tossicologia e consulente forense, noto tra l’altro per i suoi esperimenti sulle ferite post mortem che contribuirono a risolvere casi intricati. Un aspetto richiamato sempre nella prima descrizione di Holmes, capace di “staffilare i cadaveri nella sala anatomica per verificare fino a che punto si possano produrre ecchimosi dopo la morte”.

   

A lungo andare l’associazione con Holmes infastidisce Bell, che parla del “mucchio di spazzatura” cadutogli in testa “in conseguenza delle sue storie”

  
Nel 1890 esce il secondo romanzo con protagonista Sherlock Holmes, Il segno dei quattro. Il grande successo arriva però con una serie di racconti brevi pubblicati sullo Strand Magazine a partire dal 1891, tra cui Uno scandalo in Boemia e La lega dai capelli rossi. Conan Doyle è ormai una celebrità e lo Strand Magazine manda un inviato a fargli una lunga intervista a domicilio. Lo scrittore indica un ritratto alla parete di Bell, “l’uomo che mi suggerì Sherlock Holmes. Le sue capacità intuitive erano semplicemente meravigliose. Un paziente entrava e lui subito: vedo che è un ciabattino. Poi si girava verso gli studenti, e mostrava che all’altezza del ginocchio i pantaloni dell’uomo erano tutti consumati […] ce l’avevo sempre davanti, i suoi occhi grigi e penetranti, il naso aquilino e i lineamenti sorprendenti. Si sedeva sulla sedia con le dita unite e guardava semplicemente l’uomo o la donna davanti a lui […] quando presi la laurea e andai in Africa, la straordinaria individualità e il tatto discriminante del mio vecchio maestro fecero un’impressione profonda e duratura su di me, anche se non avevo la minima idea che un giorno mi avrebbe portato ad abbandonare la medicina per scrivere storie”. Il 4 maggio 1892, in una lettera che è stata resa nota non molto tempo fa, il creatore di Sherlock Holmes scrive a Bell: “E’ certamente a te che devo Sherlock Holmes, e anche se nei racconti ho il vantaggio di poterlo collocare in ogni sorta di posizioni drammatiche, non credo che il suo lavoro analitico sia minimamente un’esagerazione di quello che in effetti ti ho visto produrre nel reparto ambulatoriale”. Lo stesso anno, quando pubblica la raccolta dei primi dodici racconti, l’autore la dedica “al mio vecchio maestro, Joseph Bell, M.D., 2, Melville Crescent, Edinburgh”. A questo punto il modello non si può più nascondere. Così, Bell firma una recensione elogiativa del libro in cui sottolinea le analogie tra medicina e indagine investigativa e tra ricostruzione medica e narrativa (“anche il medico è un raccontatore di storie nato”). Un anno dopo, un reporter della Pall Mall Gazette si reca a intervistarlo. Bell inizialmente si schermisce, “E’ Doyle quello in gamba. Io non c’entro nulla”. Elogia l’allievo come “uno dei migliori studenti che abbia mai avuto. Era interessatissimo a tutto ciò che riguardava la diagnosi e mai stanco di cercare di scoprire i dettagli più minuti. Mi ricordo il suo divertimento un giorno in cui un paziente si sedette nel mio studio. ‘Buongiorno, si è goduto la sua passeggiata nella parte sud della città?’. ‘Mi ha visto, signore?’, replicò il paziente. Beh, Conan Doyle non riusciva a credere come fosse assurdamente semplice. In una giornata piovosa l’argilla rossastra aderisce allo stivale. Non c’è argilla simile in nessun altro posto intorno alla città per chilometri. Bene, questo e uno o due casi simili hanno suscitato il più vivo interesse di Doyle e lo hanno spinto a sperimentare lui stesso nella stessa direzione, il che, ovviamente, era proprio quello che volevo, con lui e tutti gli altri miei studenti”. A lungo andare però l’associazione con Sherlock Holmes lo infastidisce; a un amico confida: “Sono sicuro che non avrebbe mai immaginato che un tale mucchio di spazzatura sarebbe caduto sulla mia devota testa in conseguenza delle sue storie”. Conan Doyle si è stufato molto prima di lui, e già nel 1893 ha tentato di “uccidere” la propria creatura, divenuta così popolare e ingombrante da fare ombra alle sue ambizioni letterarie “più serie”, mettendone in scena la scomparsa nel racconto Il problema finale. Salvo poi riportarlo in scena, dapprima con un romanzo ambientato prima della morte del detective (Il cane dei Baskerville, 1901) e poi resuscitandolo in una nuova serie di racconti a seguito della generosa offerta di un editore americano. 

 
Nel 1909 la strada di Conan Doyle e quella del suo maestro tornano a incrociarsi. L’occasione è una complessa vicenda giudiziaria che vede un avvocato americano, Albert Patrick, accusato del delitto di un anziano cliente, condannato dapprima alla sedia elettrica e poi all’ergastolo. Conan Doyle e Bell sono coinvolti nel caso da un altro ex studente di Bell, compagno di studi dello scrittore, e sono entrambi dell’avviso che l’evidenza medica non sia sufficiente a condannare l’imputato (in seguito graziato). 
Joseph Bell muore il 4 ottobre 1911. I principali quotidiani, tra cui il New York Times, gli dedicano necrologi che fin dal titolo ne rievocano l’associazione con il detective di Conan Doyle (“Detective of Surgery”; “Sherlock Holmes, The Original, Dead”). Sulla facciata della casa in cui Bell abitava a Edimburgo, attualmente sede del Consolato Giapponese, c’è oggi una targa commemorativa. “Joseph Bell, pioniere della scienza forense, chirurgo, professore di Arthur Conan Doyle e ispirazione per Sherlock Holmes, ha vissuto qui”. A mettere la targa non è stata la città di Edimburgo, né la Facoltà di Medicina dell’Università, ma lo Sherlock Holmes Club del Giappone. 
Il suo alter ego di carta saluta definitivamente i lettori nel 1927, con un’ultima battuta che può valere come perfetto congedo per entrambi. “Può archiviare il caso tra i nostri incartamenti, Watson. Un giorno la vera storia potrà essere raccontata”.