Le due culture wars che si nascondono dietro la bizzarra decisione sul clima della Corte dei diritti dell'uomo
Per Strasburgo la Svizzera viola Convenzione a causa della mancata adozione di misure appropriate nella lotta al cambiamento climatico. Le sentenze, sempre più spesso, contribuiscono a generare narrazioni sociali che fanno da framework per successive mobilitazioni
Sempre più spesso le decisioni del potere giudiziario aprono a ricostruzioni apocalittiche o palingenetiche. La prospettiva dipende, ovviamente, dall’angolo visuale dell’interprete delle sentenze. Sembra essere questo il caso di una recente decisione della Corte europea dei diritti dell’uomo di Strasburgo in materia di cambiamento climatico. Con una sentenza della Grande Camera della Corte, presa a maggioranza di 16 giudici su 17, è stata riscontrata una violazione della Convenzione da parte della Svizzera a causa della mancata adozione di misure appropriate nella lotta al cambiamento climatico. La Corte ha inoltre riscontrato una violazione dei diritti dell’associazione ricorrente, in quanto non erano stati esaminati i ricorsi precedentemente presentati.
Le sentenze, sempre più spesso, non servono solo a risolvere delle controversie giuridiche ma, in un contesto politico e culturale di “global culture wars”, contribuiscono a generare narrazioni sociali che fanno da framework per successive e ulteriori mobilitazioni sulle tematiche e sulle agende che sono care ai ricorrenti. In tempi di “global culture wars” il contesto delle decisioni conta almeno quanto il testo. Se lasciamo il testo al tempo necessario per una sua effettiva comprensione, il contesto sembra suggerire che la decisione si inserisce in un trend, già delineato, di scontro e confronto tra concezioni diverse del ruolo del potere giudiziario in una società complessa.
Da una parte chi, aderendo a un approccio evolutivo nell’interpretazione delle norme, rivendica un ruolo centrale del potere giudiziario, anche nelle decisioni che riguardano complessi problemi sociali. Dall’altro chi, secondo un approccio minimalista, sostiene che il diritto e il potere giudiziario possano avere solo un ruolo ancillare rispetto alla soluzione di tali problemi, soprattutto se si tratta di corti internazionali. E’ forse questa una delle distinzioni più importanti che appaiono dalle parole e dalla solitudine dell’unico giudice dissenziente, il britannico Tim Eicke, che, pur sottolineando la gravità del problema del cambiamento climatico, si è chiesto cosa possa mai fare la Corte per risolvere tale problema.
D’altro canto, qualcosa, in effetti, la Corte lo ha fatto. Come hanno spiegato studiosi come Galanter e McCann le decisioni delle Corti, tra le altre cose, contribuiscono a generare un ulteriore “effetto diffusione” del dibattito rispetto ai temi che sono sottoposti al loro giudizio, fornendo nuove armi retoriche agli attivisti che sceglieranno le strade della litigation strategica per perseguire i loro obiettivi. è la stessa Corte di Strasburgo a ricordare nella decisione il ruolo fondamentale dei giudici nazionali in questo contesto. Che poi questo contribuirà effettivamente alla lotta al cambiamento climatico è altro discorso. Nel frattempo, la decisione concorre a rinvigorire il dibattito tra sostenitori dell’attivismo giudiziario e difensori di una concezione minimalista del ruolo dei giudici. Si tratta di una disputa al centro di un ulteriore mutamento climatico importante: quello relativo alla tenuta stessa del sistema internazionale di tutela dei diritti dell’uomo in Europa.