Non più giovani
Certe vite, e certe morti, sono un balsamo per il nostro invecchiamento. Un libro
Riccardo Chiaberge, classe 1947, scrive "La formula magica della longevità": ovvero di vite finite troppo presto, e che oggi sarebbero state salve grazie ai risultati della scienza
Da almeno una trentina d’anni ho sulla scrivania un fermacarte che mi ha sempre fatto simpatia, un piccolo teschio d’avorio con le sue due file di dentoni allineate, i due grandi buchi al posto degli occhi, il naso risucchiato nell’osso e nemmeno il ricordo di orecchie e capelli, ovvio. Da sempre, scrivendo, ci gioco soprappensiero, come con una pallina, sentendo piacevolmente nel palmo il suo peso leggero e la levigata superficie del cranio, completamente indifferente a ciò che un oggetto del genere rappresenta, anche se non a grandezza naturale come il teschio di Yorick, ma pur sempre memento mori. Ultimamente, però, mi sono accorta che lo sto trascurando. Dalla scrivania l’ho spostato su un altro mobile e non ci gioco più. Se lo incontro con lo sguardo mi sento lievemente a disagio. Povero teschio!
O povera me? La domanda si è insinuata, serpeggiando, a partire dal mio settantesimo compleanno. Sì, da quando ho compiuto 70 anni ho cambiato generazione. Improvvisamente. Ho smesso di essere giovane. O simil giovane. Così, di colpo. Un vero choc. E guardandomi intorno, sbirciando dentro gli scatoloni dei libri che mi arrivano, ho fatto un’altra scoperta: un sacco di titoli sulla vecchiaia! E scritti da gente della mia età, cioè gli ex baby boomer, miei coetanei, avviati zitti zitti verso gli ottanta. Bè, zitti zitti no, se scrivono tanto sul tema, in modo disperato o orgoglioso, non importa, l’ossessione è chiaramente la stessa. Ma ecco un libro con un taglio diverso, che mi fa voglia di leggere. E’ di Riccardo Chiaberge, torinese del 1947, e quindi ex baby boomer pure lui, ma lui la prende bene. Il titolo è "La formula della longevità. Vite che hanno allungato la nostra" (Neri Pozza) dove riflette che Giacomo Leopardi è morto a 39 anni di Tbc (oggi guaribile con gli antibiotici). E si sarebbero salvati tanti altri, celebri o meno, avessero potuto godere dei risultati della scienza di cui godiamo noi. Emily Brönte se n’è andata a 30 anni, Schubert a 31, Modigliani a 36, Chopin a 39, Kafka a 41, Cechov a 44… e così via. Non sono morti per incidente ma di malattie, malattie che oggi si curano, persino al cancro è data chance di non stroncarci in pochi mesi. Senza contare le grandi invenzioni che hanno reso più sicura la nostra quotidianità. Se il casco fosse stato obbligatorio, per esempio, in quel lontano 13 maggio 1935, il colonnello Thomas Edward Lawrence, più noto come Lawrence d’Arabia, non si sarebbe schiantato a 47 anni con la sua moto per evitare due ragazzi in bicicletta. O meglio, si sarebbe schiantato lo stesso, ma magari poi in ospedale ce l’avrebbe fatta a salvarlo perché la sua bella testa non sarebbe risultata irrimediabilmente compromessa. E avanti così: Chiaberge ne racconta tante di storie che ci dovrebbero rendere felici di vivere, sia pure attempati, negli anni 20 del 2000.
D’accordo, però l’ansia e il disagio non passano, soprattutto prima di addormentarmi e al risveglio. Il teschietto è finito in un cassetto. Che sia il caso di telefonare al mio amato psichiatra che già altre volte in passato mi ha salvata da subdoli attacchi di depressione con qualche magica pillolina? Lo faccio. Ma questa volta non mi prescrive niente. Mi dice che invecchiare è nella norma e bisogna accettarlo. Mi dice di leggere Seneca, le Lettere a Lucilio. E io lo faccio: “Ogni ora del nostro passato appartiene al dominio della morte”, leggo. “L’uomo forte e saggio non deve fuggire dalla vita, ma uscirne”, leggo. “Il saggio è sempre ben difeso e pronto contro ogni assalto”, leggo. “Egli non indietreggerà mai se lo assalgono la povertà, i lutti familiari, il disonore, il dolore: impavido andrà contro queste forze avverse e anche in mezzo a esse”. Va bene, ho capito: o saggi o niente. Che dire? Ci sto provando, giuro. Ma non garantisco.