Il teatro San Carlo di Napoli - foto Ansa

Opera

Che voce, che carisma: da Salisburgo a Napoli è sempre Anna dei miracoli

Alberto Mattioli

"La gioconda"sbarca al teatro San Carlo e fa il botto: Netrebko, con Jonas Kaufmann nel melodrammone. Una nota meglio dell'altra

Edue. Dopo Salisburgo, La Gioconda sbanca anche il San Carlo, protagoniste le stesse superstar, Anna Netrebko & Jonas Kaufmann. Benché sia di buon gusto considerare Ponchielli di cattivo gusto, ce n’era abbastanza per scatenare la transumanza a Napoli di mezza Europa dell’opera. Infatti, dopo una generale promossa a recita straordinaria per i trent’anni di carriera di Anna, alla prima di mercoledì il teatro era più affollato della riviera di Chiaia all’ora dello struscio. Anche con angosce e patemi preventivi, perché Netrebko era spoilerata indisposta, sotto cortisone, incerta se cantare o no, non avremo mica fatto il viaggio per niente. Malata, Annuska? Figuriamoci. Entra, dimagrita, ringiovanita, bellissima e inizia a eruttare meglio del Vesuvio una colata lavica di suoni timbrati e ambrati dal basso in alto, volume, volume e ancora volume: ero in quinta fila e non mi sono spettinato solo per mancanza di materia prima.
 

Tutte note più belle una dell’altra, però, come fosse un cannoneggiamento di bombe di velluto. E che gravi meravigliosamente espansi senza essere poitriné, che pianissimi a tutte le quote, che si bemolle filato a “Enzo adorato” (a Salisburgo si era incrinato) e insomma che carisma, che presenza, che primadonna. Lui, il divo, è invece sulla difensiva, fra raucedini e stimbrature varie. Però Jonas è Jonas, e la sa bene l’arte di farsi amar. Così chiude un “Cielo e mar” faticoso con una messa di voce di quelle dei bei tempi, allungandosi languido sulla tolda del brigantino: e si mette il pubblico in tasca. Poi c’è Ludovic Tézier che inonda il San Carlo con un fiume di voce, cattivo a ventiquattro carati, monolitico, implacabile, ma del resto il perfido Barnaba questo è. Non male Eve-Maud Hubeaux come Laurina mignon, ma si sa che per i mezzi i tempi sono grami. Anche per i bassi, per la verità, però questo Alexander Köpeczi è interessante, un po’ da affinare quanto a morbidezza e legato, ma il materiale è notevole ed è pure belloccio, quindi piace a signore e gay, in pratica i quattro quinti degli astanti. E ancora, poiché per Gioconda di cantanti ce ne vogliono sei, Kseniia Nikolaieva è la solita Cieca slaveggiante ma abbastanza controllata; quanto al divertimento, per lei provvede Tobia Gorrio alias Arrigo Boito al suo meglio: “Ha vuote le occhiaie, eppure chi il crede? / La Cieca ci guarda, la Cieca ci vede!”, genio. Fra gli altri, da segnalare l’Isèpo vestito incongruamente da Arlecchino di Roberto Covatta, cui la regia chiede di fare delle sciocchezze, ma che le fa bene.
 

Il gran traffico di romanze, concertati, danze è gestito con efficienza ma anche con varie finezze da Pinchas Steinberg: orchestra, ballo, coro di adulti e di bambini inappuntabili. Quanto allo spettacolo, su Gioconda inutile provare a fare i sofisticati, che poi finisce a schifio come a Salisburgo. Che melodrammone sia, allora: Alvise tiene nel salotto del palagio una botola da cui estrae un teschio prêt-à-porter, salvo poi sistemarci la moglie fedifraga presunta morta, la Cieca morta per davvero torna come spettro a terrorizzare Barnaba, il brigantino (modesto, però, tipo yacht per il week-endino a Capri, massimo le Eolie) prende fuoco con fiamme vere, e sull’acuto tutti avanti di un passo a braccia spalancate. Insomma è una regia (di Romain Gilbert) “come la voleva Ponchielli”, direbbero le care salme, qui addirittura in estasi, fra scene fintamente fastose di Etienne Pluss e costumi addirittura di Christian Lacroix, che naturalmente funzionano molto di più per i patrizi chic che per la plebe pezzente, ma franano alla festa perché sono tutti in tricorno, ma come?, siamo nel Seicento, Ponchielli non la voleva così. Il problema vero è che il vecchio pubblico nazionalpopolare dell’opera si è estinto, La Gioconda non la conosce più nessuno, e quando attacca la “Danza delle ore” il sollievo delle signore napoletane è palpabile, ma sì, questa la conosco, dove l’ho sentita? Certo, sono gli ippopotami in tutù di Fantasia di Walt Disney (molto più genio del buon Ponchielli, per inciso…)

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