Storia dell'abbraccio
Quant'era bello il medioevo fatto di abbracci onesti e un po' indecenti
Non si tratta solo di circondare e accogliere, ma anche di congedare. I tanti valori di un contatto, in un altro tempo, quando i gesti raccontavano più delle parole
Un catalogo di amplessi. Cioè – etimologia, mica bubbole – di abbracci. Ma “non solo d’amore” e “non solo umani”, come precisa il sottotitolo di "Un medioevo di abbracci" (il Mulino, 240 pp., 26 euro) puntando dritto alla totalità. La copertina del libro, invece, è un particolare. Precisamente, del quadro “Giudizio universale” di Giovanni Di Paolo (1445 circa). Mostra mani giunte in preghiera e braccia giunte in esultanza, tra putti, verzura e un coniglietto. Siamo in Paradiso e la rappresentazione è la pura gioia di ritrovarsi. Sullo sfondo, una suora abbraccia da dietro una sorella, invitandola a contemplare tanta beatitudine.
Dicevamo: un catalogo, dal quale è divertente attingere senza un ordine preciso, facendosi guidare dalle tavole dei dipinti o dalle traiettorie letterarie. Un panorama di ogni genere di abbraccio e di sentimento umano e divino, quotidiano e istituzionale, metaforico e virtuale, firmato da Virtus Zallot, studiosa di iconografia sacra, docente di Storia dell’Arte medievale presso l’Accademia di Belle Arti Santa Giulia di Brescia e già autrice di accurate indagini sulle estremità – ha scritto dei piedi e delle teste del Medioevo. In Premessa lo chiama “recinto corporeo”. L’abbraccio può emblematizzare intimità, valori terapeutici, vincoli di solidarietà, ultimo addio, infatti non si tratta solo di circondare, ma anche di portare in braccio; non si tratta solo di accogliere, ma anche di congedare. Insomma, c’è un tempo per recintarsi e un tempo per evadere dai recinti, ma il fatto che Zallot indaghi sul Medioevo non è un dettaglio: il Medioevo è l’epoca in cui i gesti sostituivano le parole, o ne erano didascalia inequivoca. E’ l’epoca in cui si doveva vedere con chiarezza, soprattutto i simboli di valore teologico – le Madonne col bambino in braccio ne sono un esempio. E’ l’epoca in cui l’incontro col divino era un’esperienza sensoriale di grande concretezza – Dio ha sempre “braccia eterne” ed è “abbraccio di salvezza”; per la mistica Giuliana di Norwich l’estasi fu sartoriale: “vestito che fascia, abbraccia, racchiude”. Hadewijch di Anversa, mistica e poetessa fiamminga del tredicesimo secolo, descriveva così l’incontro con Gesù: “Egli stesso venne da me, mi prese interamente tra le sue braccia e mi strinse; ogni parte del mio corpo sentì il suo in piena felicità, secondo il desiderio del mio cuore”. (Per togliere ogni dubbio circa l’assenza di morbosità di queste focose descrizioni i teologi conferirono all’abbraccio – e a Gesù stesso – dignità coniugale; ma pur nel tentativo di mitigarne la forza, la descrizione resta toccante).
Tra evanescenza e solidità, interessante la storia degli abbracci legata proprio alla fede religiosa: secondo la Leggenda maggiore di Bonaventura da Bagnoregio il custode di un castello precipitò da una torre nel sonno e venne ritrovato illeso. Interrogato, riferì di aver “dormito beatamente tra le braccia di san Francesco”. Ma ci sono anche gli abbracci tutt’altro che “onesti”, come quelli degli innamorati per strada. Li esecrava Clemente Alessandrino (II-III secolo) nel Pedagogo, manuale di condotta cristiana destinato ai laici, un po’ galateo, un po’ istruzioni per l’uso della decenza. “Segno di insensato permissivismo” borbottava, “comportamento privo della benché minima grazia” – e se una cosa era brutta, era immorale. Divertenti e non sempre pudichi sono gli abbracci scolpiti su capitelli e facciate di alcune chiese romaniche, in cui figure volgari e deformi mettono in scena il teatro del male: sfrenati intrecci intersezionali, fanciulle a gambe spalancate, atti che poco lasciano all’immaginazione.
Accade invece l’esatto contrario in una splendida miniatura parte del Livre de propiétés des choses di Bartolomeo Anglico, redatto nel 1414 e conservato alla Bibliothèque Nationale de France e che illustra la procreazione (e così si intitola): mostra un uomo sovrapposto a una donna, in una rigidezza da fotomontaggio, mentre la bacia di fatto senza baciarla. Lei indossa un voluminoso copricapo, l’aria di abbandono di una sull’attenti. Si cingono in modo assai scolastico, su un letto intatto. Una cortina li occulta per metà. L’amplesso è – appunto – il loro abbraccio.
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