A teatro
Povere Brontë. In scena a Londra una pièce teatrale sgargiante e di desolante schematismo
Scritta da Sarah Gordon, Underdog: The Other Other Brontë è diretta da Natalie Ibu, regista quarantenne con vena pop. Un politicamente corretto affetto da autofagia
Meglio evitare di essere riscoperte, se riscoperte sta per sberleffate. O forse no, per far leggere alle nuove generazioni il romanzo La signora di Wildfell Hall di Anne Brontë vale la pena di trascinare sotto i riflettori la meno nota delle tre sorelle, facendone la placida vittima dell’ambizione di Charlotte e lasciando sbiadire in secondo piano Emily e il suo Cime tempestose. E’ quello che sta avvenendo in una pièce teatrale sgargiante e di desolante schematismo in scena al National Theatre di Londra, oggetto di recensioni perplesse e degli strali veri e propri dello Spectator, che ha parlato di un “noioso atto di diffamazione” nei confronti delle scrittrici dello Yorkshire. Ma facciamo un passo indietro.
Scritta da Sarah Gordon, Underdog: The Other Other Brontë è diretta da Natalie Ibu, regista quarantenne con vena pop che saltando da un trittico di sorelle a un altro arriva fino alle Kardashian, un paragone di cui ci invita a non scandalizzarci, tanto più che è calzante in vari modi, compreso il fatto che entrambi i trittici hanno un fratello scialbo di cui non parla mai nessuno. “Le confronto in continuazione, perché sono il massimo del rivoluzionario”, ha spiegato Ibu in un’intervista: “Possiamo non amare quello che rappresentano, ma hanno successo e sono eccezionali”. E quindi confondere l’alto e il basso, Haworth e Beverly Hills non è un problema, se bisogna affermare una controverità qualunque. Un politicamente corretto affetto da autofagia, in questo caso: va bene descrivere una delle più grandi scrittrici di tutti i tempi come un’ambiziosa spietata e le relazioni tra donne come inevitabilmente segnate da un clima di garrula discordia, con buona pace della lotta agli stereotipi e alle presunte narrazioni maschiliste, se lo scopo è dire che la competizione femminile è dettata dalla fatica per farsi spazio in una scena piccola dominata da uomini caricaturali. Mica sono tutte come Jane Austen, che è finita pure sulle banconote, osserva la (spiritosa) Charlotte teatrale, che ha solidi argomenti nel presentarsi come una figura complessa, ambiziosa, umorale, una che ha effettivamente impedito la ristampa del libro di Anne dopo la sua morte – invidia? tentativo di proteggerne la memoria? – e che avrebbe ripreso il tema dell’istitutrice raccontato dalla sorella in Agnes Grey nel ben più pepato Jane Eyre. Solo che il motore narrativo qui è tutto nel suo essere un’antieroina poco amabile, come se a distanza di secoli non fosse quell’incredibile talentaccio l’unica cosa importante. E’ veramente questo l’unico modo per umanizzare una figura, strapparla al tono museale di un ricordo spento?
Underdog, con il suo cast molto inclusivo, si iscrive in quel filone che da Bridgerton in poi, con un tocco della Fleabag – l’Oppenheimer della narrativa, ha detto qualcuno, visto che con la sua invenzione geniale ha scatenato un inferno di pallide imitazioni – e magari la Marie Antoinette di Sofia Coppola come antenata a cui rubare l’idea delle scarpe da ginnastica sotto l’abito lungo, ma tra tocco pop e tritacarne il passo è breve, molto. Anne, morta a 29 anni, ha un libro ancora molto letto, Agnes Grey, e uno che aveva venduto bene ai tempi, La signora di Wildfell Hall, e che ha una ragionevolezza che lo sottrae alle suggestioni dei capolavori delle sorelle: parla di una donna che lascia il marito alcolista e violento e trova un uomo attento e affettuoso, non materiale da redenzione come Rochester che rinchiude la moglie in soffitta o Heathcliff umbratile ai limiti della sociopatia. Anne non vedeva negli uomini materiale da redenzione, l’essere stata accanto al bello di casa, Branwell, mentre si distruggeva di alcol e stupefacenti non le ha dato nessuna voglia di romanticizzarne la figura, trasformarlo in un eroe byroniano. Nel suo mondo è tutto meno incandescente che in quello delle sorelle, e non si può fare a meno di volerla scoprire tutta, questa storia di talento, competizione e sorellanza, quella genialità che si alimenta nel dialogo ma che poi qualcuno cattura meglio di qualcun altro, come Mozart con Salieri o Fitzgerald con Zelda. Cosa c’è di poco avvincente in questa storia? Dov’è la vittoria, nel farne una caricatura?