La storia tra le pagine
Quando basta un giallo per capire a fondo la società di un paese
Il potere dei libri ne "La storia se ne frega dell'onore", di Gian Arturo Ferrari. Vivere l'asfissiante atmosfera degli anni trenta, dove ogni decisione viene presa in un clima di terrore perenne
Qualcuno, forse un giallista, diceva che a distanza di anni per capire la società di un determinato paese è più utile leggerne i gialli che non i libri di storia. E in effetti il nostro immaginario della borghesia anni Venti britannica ci viene più da Assassinio sul Nilo o sull’Orient Express che non dai testi degli storici. Allo stesso modo oggi, a cento anni dall’omicidio politico che ha settato un regime, forse per farci un’idea dell’effetto del delitto Matteotti è utile leggersi il giallo di Gian Arturo Ferrari, "La storia se ne frega dell’onore", appena pubblicato da Marsilio. Anche solo perché il desiderio di scoprire chi è l’assassino, come ci insegna il mercato, come ci insegna il successo di Joël Dicker o del blu Sellerio, ci tiene incollati alle pagine. Nel libro di Ferrari, che a fatica si mette giù, viviamo l’asfissiante atmosfera degli anni trenta, dove ogni decisione viene presa in un clima di terrore perenne – di esser ascoltati, di esser scoperti a fare o dire qualcosa che il regime non approverebbe. La fedeltà va dimostrata, tutti potrebbero avere dei segreti. C’è chi diventa informatore per soldi, chi per stare tranquillo, chi invece, malvolentieri, per aiutare un familiare sovversivo, c’è chi vuole scoprire i segreti per proprio tornaconto, chi per tenerli nascosti e chi per cambiare la storia. “Pettegolezzi, dicerie, bisbigli”, possono cambiare la vita di una famiglia, da un giorno all’altro. Si vive nel sospetto. “Vigilanza, soprattutto vigilanza, i nostri nemici non dormono mai”, dice a un certo punto Mussolini.
Ferrari, però, il Darth Fener dell’editoria – se lo dice da solo – a lungo figura chiave dell’industria libraria italiana, non può che far partire il suo primo giallo proprio da un libro, l’oggetto a cui ha dedicato gran parte della sua vita. Ne "La storia se ne frega dell’onore", infatti, vediamo la morte forse accidentale del direttore editoriale di una grande casa editrice, “un liberale con simpatie per i socialisti, quelli riformisti però, un classico di Milano. Antifascista ma non pericoloso”. Con la sua morte scompare la borsa che si teneva stretto al fianco da settimane. Dentro c’erano le bozze di un libro, un libro su cui tutti adesso vogliono mettere le mani. Una doppia indagine, quella ufficiale e quella della donna che, per motivi di regime, era finita per stare vicino all’editore, fino a innamorarsene. Quando al loro primo incontro lui le chiede qual è il suo scrittore preferito lei risponde: Thomas Mann. “Non era vero, naturalmente, troppo lento e complicato. Preferiva di gran lunga Scott Fitzgerald. Preferiva i libri-mare, quelli in cui ci si lascia trasportare dalle onde, ai libri sesto-grado, quelli in cui bisogna arrampicarsi, sempre attenti a non perdere il più piccolo appiglio”.
Con il suo giallo Gian Arturo Ferrari, autore dell’ottima "Storia confidenziale dell’editoria italiana", non solo ci ricorda come l’editoria al tempo di Mussolini potesse essere uno strumento efficace di propaganda, ma anche di disturbo. Qui avviene uno scontro, anche metaforico, tra chi i libri li pubblica e chi invece ha costruito un sistema di controllo, di normative, di censura, anche prima delle leggi razziali. Può davvero un testo, un libro, mettere a rischio il regime e l’integrità del Duce? Sì, se è un libro che è “dinamite pura” – “quel che raccontava era talmente forte, talmente violento, che creava da sé il proprio stile”. Trasformare un libro, anche nella fiction storica, in uno strumento di tribolazione, in un’arma, è una grande dimostrazione d’amore verso il libro stesso, verso la letteratura e verso l’editoria.