La testimonianza
“Salvammo gli scampati dai lager e oggi ci attaccano”, ci dice l'ultimo sopravvissuto della Brigata ebraica
"Così abbiamo aiutato i sopravvissuti di Auschwitz". Parla Piero Cividalli, la cui storia, insieme a molte altre, è raccolta oggi in un libro scritto dal giovane Stefano Scaletta
Quando sente che la parola d’ordine nelle piazze antagoniste sarà “25 aprile antifascista e antiosionista” sussulta. “E’ un manifesto di ingratitudine nei confronti del contributo che abbiamo dato alla Liberazione dell’Italia”. Ultimo superstite italiano della Brigata ebraica, Piero Cividalli ha 98 anni e vive oggi poco lontano da Tel Aviv. “Mai come quest’anno l’ostilità arriva forte fin qui”. Gli studenti sono quelli che gli procurano più dolore, perché il suo bisnonno, Alessandro D’Ancona, è stato rettore della Normale di Pisa, una delle università che hanno interrotto la cooperazione accademica con Israele.
“Il boicottaggio è un’infamia che non mi sarei mai aspettato di vedere”, dice accennando anche ai finanziamenti che la sua famiglia ha versato all’ateneo. “Ci hanno già cacciato dall’Europa. Ora gli studenti vorrebbero cacciarci anche da questo posto in cui abbiamo trovato rifugio?”.
Aveva dodici anni quando scappò dall’Italia con il padre, un importante architetto fiorentino, per scampare alla persecuzione fascista. “Mio padre era stato medaglia d’oro nella Prima guerra mondiale. Visse le leggi razziali come un tradimento personale”. Prima ripararono per nove mesi a Losanna, poi trovarono rifugio in Palestina. La madre, invece, era stata compagna di classe di Nello Rosselli ed entrambi i fratelli Rosselli erano amici di famiglia. “Quando li uccisero, capimmo subito che sarebbe cambiato tutto. Ero piccolo. Ma diventai immediatamente antifascista”. Compiuti i diciott’anni in Palestina, Cividalli si arruola volontario. Entra nella Brigata ebraica, inquadrata nell’esercito britannico. Si addestra in Egitto. Poi viene spedito nell’Europa in guerra. Sbarca a Taranto e risale la Penisola. “Trovai l’Italia in macerie. Piena di profughi. Irriconoscibile. Molti di noi si dedicarono a soccorrere clandestinamente i sopravvissuti dei campi di concentramento. Un’esperienza atroce”.
Storie come la sua sono una costante nelle biografie dei ragazzi della Brigata ebraica, in maggioranza composta da gente cacciata dall’Europa e in Europa tornata per liberarla. Quello che era poco noto, invece, lo racconta oggi un libro che non sarebbe mai potuto essere scritto senza la cooperazione universitaria tra l’Italia e Israele, ciò che gli studenti pro palestinesi chiedono furiosamente di cancellare ai propri atenei, e in alcuni casi sono riusciti a ottenere, con la complicità dei professori. Si chiama "La brigata ebraica tra guerra e salvataggio dei sopravvissuti alla Shoah" (Silvio Zamorani Editore). L’ha scritto un giovane ricercatore, Stefano Scaletta, studiando gli archivi israeliani, italiani e britannici. In essi ha scoperto che, oltre a dare un contributo militare alla liberazione, la Brigata ebraica ha soccorso, clandestinamente, gli scampati dai lager.
“A partire dall’estate del 1944”, racconta Scaletta, “dal centro dell’Europa, dove era pericoloso rimanere, i sopravvissuti dei campi si spostarono in massa verso l’Austria e di lì al confine con l’Italia. Qui i soldati della Brigata ebraica, contro le regole dell’esercito britannico, che osteggiava il trasferimento degli ebrei in Palestina, aiutarono i profughi a passare il confine illegalmente, organizzando staffette sul Tarvisio, trasportandoli con le jeep militari, fornendo cibo, vestiti, protezione”. Una volta in Italia, gli ebrei raggiungevano le grandi città o le città dai grandi porti, dai quali partivano i trasferimenti per la Palestina. La nonna di Scaletta era una bambina sfollata durante la guerra. Quando tornò a Milano, finalmente fuori pericolo, frequentò una scuola riaperta dalla Brigata ebraica, a via Eupili 8. I soldati facevano da maestri, insegnando in svariate lingue. Lo stesso Piero Cividalli ha passato il resto della vita a insegnare Storia dell’arte. Sicché è difficile stabilire se sia oggi più ripugnante osteggiare la Brigata ebraica per il ruolo che ebbe nella Liberazione. Oppure per il soccorso che prestò, a rischio della pelle, ai sopravvissuti di Auschwitz. “Ma non si vergognano neanche un po’?”, domanda Cividalli.