(foto LaPresse)

L'esposizione

A Roma, nelle Corsie Sistine, una mostra di 99 abiti, cenci o sudari: uno svelamento di luce

Aurelio Picca

Ogni vestito è un’anima che ha il proprio nome e il proprio pensiero che suona come messaggio del destino, o sentenza dell’oracolo

Pur quando misurai le perle, i cocci, su fondi di ebbrezza desertica, mai in Piero Pizzi Cannella rinvenni nulla che non appartenesse al lusso, proprio nella accezione di contrario della volgarità (come usava dire Coco Chanel). Eppure erano una sorta di ritrovamenti archeologici; frammenti di saccheggi magari perduti da mercenari lanzichenecchi dopo la battaglia della Molara (colli Albani, ai piedi del Tuscolo). Sempre vi trovai nelle tele un lusso appunto devastato dalla poesia, proveniente da una vitale malinconia remotissima che si desiderava trafiggersi in petto. E pure nei lampadari, in cieli senza stelle, si poteva immaginare un universo vicinissimo come Luigi XIV e comunque chiuso a sé (come il cuore), nella rotazione umanissima di noialtri che più umani non siamo. Ora l’umanità di questa mostra di 99 abiti o sudari o cenci o lenzuola o vessilli di donne migranti (Le migranti); codeste donne non solo traghettate da sponda a sponda del mare nostro, ma anche coloro che migrano da sempre dentro quei mappamondi sognati e reali che lo stesso Pizzi ci regalò, appunto si dispiega in un angolo maraviglioso del Vaticano dove le rette architettoniche fanno da Volta indistruttibile: Le migranti, dunque, alloggiano nelle Corsie Sistine in Santo Spirito in Sassia.

Nel percorrere i centotrenta metri della Corsia che fu ricovero di pellegrini, poveri, malati, donne pronte a sgravare, trovatelli; dove appunto si stagliano i 99 abiti di donne su tela nuda a gruppi di tre (come la terzina), io mi sono trovato a ragionare su chi afferma che Vincent van Gogh, trovatosi nel campo di grano con una rivoltella addosso, non sia stato lui a darsi lo sparo che lo condusse a morte dopo agonia. Bensì fu invece uno dei ragazzi che lì nel grano giocavano, a sparargli, e che egli per la solita “umanità” non lo rivelò mai. Ciò resta un mistero, come Vincent rimane pittore lontanissimo da Pizzi. Ho gettato  sulla pagina questa ossessione di un amico studioso del pittore olandese, per avere il fiato e scrivere che gli abiti migranti di Pizzi sono invece un totale svelamento di Luce. E, si badi bene, una luce che viene dal sangue dei malati (e dalle bende intrise di sangue) che lì nelle Corsie furono curati o morirono nei tormenti. La luce che subito pensai appartenesse al Paradiso di Dante. Certo è difficile che gli appartenga, ma non impossibile se il primo ricovero per pellegrini e ospedalieri, in anticipo di molti secoli rispetto alla costruzione monumentale che ne fece Sisto IV della Rovere in pieno Rinascimento, fu ideata e voluta da Innocenzo III, il Papa con la spada; colui che ingrossò le acque del Rodano con il sangue dei Catari. Allora è tutto questo sangue, di spada e di corpi malati, a fare i  colori che si frantumano sugli abiti, che compongono gli abiti trasformandoli in tanti fiori e petali di una morbidezza da preghiera? Sì, è così.

Ogni abito è un’anima che ha il proprio nome e il proprio pensiero che suona come messaggio del destino, o sentenza dell’oracolo. Le migranti non vorticano come rena dietro a un vessillo alla stregua degli ignavi nell’Inferno. Esse vengono dal fondo del dolore ma risalgono in lenta processione aprendosi più alla morbidezza del Purgatorio. A quell’aria mielosa, da innamorati struggenti; a quell’aria che scruta la sommità della Montagna dove regna lo zaffiro, il Nono Cielo della Luna da dove inizia il Paradiso. Dunque è la verità. Pizzi Cannella compone 99 abiti come Dante compose 99 Canti.
Sembra di vedere le donne in processione nei boschi sacri accanto al lago di Nemi, quando Caligola spodestò il culto di Diana e impose Iside con in braccio il suo bambino. Il Bambino che in seguito fu della Madonna. Ecco, le donne, le madri con le torce accese che pregano nella oscurità dei boschi. Pizzi, tra i tanti nomi inventati o verosimili, ai quali appartengono le vesti, ne sceglie uno solo vero, come se tutte le altre madri si congiungessero a una sola, perché il nome è di sua madre Assunta che scrive: a Rocca non nevica così da tanto tempo.

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