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Debora Badiali, la sindaca nella patria dell'ocarina

Francesco Palmieri

Un'invenzione casuale diventata patrimonio mondiale: nel 1853, Giuseppe Donati, giovane artigiano di Budrio, creò accidentalmente lo strumento. Oggi, la sindaca del comune della Bassa bolognese riporta in vita il Festival internazionale, celebrando un'icona

Nella curiosa storia dell’ocarina ritroviamo l’archetipo che associa il tema dell’errore a una scoperta, attribuendo alla magia del Caso la riuscita di invenzioni grandi e piccole (tra le minori ricorderete forse l’origine del panettone o del babà). Stavolta tuttavia la relativa prossimità nel tempo, e le testimonianze dirette, convalidano la veridicità del racconto. È il 1853 quando al diciassettenne artigiano e musicista Giuseppe Donati cade di mano la forma in creta di uno strumento a fiato che sta provando a modellare per scherzo. Dal frammento più grosso, che nella rottura ha assunto l’aspetto ovoidale di un’ochetta senza testa, il ragazzo ottiene il non voluto prototipo dell’ocarina. Un flauto globulare i cui antenati si rinvengono nelle civiltà orientali e occidentali, ma l’ocarina come attualmente si conosce in tutto il mondo nasce così, nel paese di Budrio della Bassa bolognese dove pure Donati nacque e a lungo operò. Suonata da centinaia di migliaia di dilettanti e di virtuosi anche nelle Americhe, in Corea e in Giappone, riprodotta bene o male in molteplici varianti, plastica inclusa, l’ocarina è associata tuttora al nome di Budrio, cui ha regalato notorietà più spesso mondiale che italiana.

   

Debora Badiali, trentatré anni il prossimo agosto, è sindaca di Budrio dal 2022 alla guida di una coalizione di centrosinistra. Lei ha resuscitato ad aprile scorso il Festival internazionale dell’ocarina, che aveva celebrato l’ultima edizione nel 2019.

 

Perché fu interrotto? Con quali obiettivi lo ha recuperato?

Fu a causa della pandemia di Covid e per i suoi strascichi, che impedivano gli spostamenti soprattutto ai partecipanti dai Paesi asiatici. Non riuscimmo a riattivarlo nel 2023, ma da quest’anno il Festival è ripartito e avrà cadenza annuale, non più biennale come prima. L’obiettivo è presentare con una caratterizzazione più culturale l’ocarina, allontanandola dall’atmosfera folcloristica. In precedenza era associata alla sagra ‘Primaveranda’, ora le abbiamo dato un’identità autonoma.

 

Come promuovete l’ocarina?

C’è sempre il G.o.b., il Gruppo Ocarinistico Budriese che continua a diffondere la conoscenza dello strumento in tutto il mondo e la nostra peculiare tradizione del “settimino”, ossia un ensemble di sette ocarine di varie intonazioni e dimensioni che possono coprire o rielaborare qualunque pezzo orchestrale, incluso il repertorio classico e operistico. Gli ocarinisti budriesi hanno girato all’estero sin da fine ’800 ed è grazie a loro che lo strumento si è diffuso nelle contrade più remote, fino al Brasile. S’aggiunga a questo l’emigrazione di tante nostre famiglie.

   

  

Qual era l’attività economica prevalente a Budrio?

L’agricoltura e la lavorazione della canapa nei maceri, oggi scomparsi, che sfruttavano il territorio paludoso. Oggi Budrio mantiene la tradizione agricola, ma conta anche una importante presenza industriale nel settore della protesica.

 

È curioso scoprire che l’ocarina tornò in Italia anche con i soldati americani che sbarcarono nella Seconda guerra mondiale, e che abbia conosciuto tante varianti a seconda dei Paesi dove si è diffusa.

Ritroviamo l’ocarina persino nei video musicali dei Duran Duran o nel cartone ripreso dal videogioco ‘Un regno incantato per Zelda’, ma è piuttosto curioso che la sua popolarità ci sorprenda. I budriesi da un lato guardano a questo strumento con gli occhi dell’abitudine e non ne apprezzano le potenzialità, dall’altro si stupiscono se scoprono che sotto altre latitudini conoscono qualcosa di noi. Mi inorgoglisce quando all’estero dici “sono di Budrio” e ti fanno le feste perché ti identificano con la culla dell’ocarina. Ed è bello vedere che dal mondo tornino qui tante versioni dello strumento quanti i luoghi in cui è diventato popolare. Lo si può constatare sia durante il Festival internazionale sia visitando la raccolta ospitata nel Museo dell’Ocarina di via Garibaldi, la strada pedonale che è lo scrigno dei nostri beni culturali.

 

Lei suona l’ocarina?

No, ma ho accompagnato per alcuni anni alla chitarra il gruppo concertistico delle ocarine. Ora il Comune sta finanziando sia l’insegnamento nelle scuole musicali per chi già studia altri strumenti, sia un progetto per diffondere l’ocarina tra gli alunni della terza elementare durante l’orario didattico. Al contempo vogliamo tutelare e incentivare la fabbricazione artigianale che si rifà alla tradizione di Donati: un capolavoro che nacque dalla creta, il materiale più povero che c’è.

 

Qualcuno si stupisce ancora che lei sia diventata sindaca a trent’anni?

L’aggettivo “giovane” è attribuito in Italia per un lasso di tempo molto lungo. Io mi sento giovane perché me lo dicono gli altri, ma se penso ai miei genitori, che all’età mia avevano figli e responsabilità, faccio fatica a sentirmi definire così. Sono stata eletta per la prima volta in consiglio comunale a diciannove anni e già mi reputavo adulta. Forse di giovane può esserci l’approccio, ma giusto perché hai più energia, non per mancanza di esperienza. Sa chi possiamo chiamare giovane davvero? Giuseppe Donati, che quando inventò l’ocarina era diciassettenne. Adesso, centosettant’anni dopo, siamo qui a parlare ancora di lui.

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