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Essere uomo

I sette racconti di “Iniziazioni”: la schizofrenia della vita in età diverse

Antonio Gurrado

Il libro di Marchesini si tuffa sotto l'incresparsi della vita per riemergere con le parole e con i gesti che non ci aspettavamo di trovare sui fondali

C’è un cane che rivede dopo anni il giovane che lo ha raccattato ai bordi di una strada; allora gli ringhia contro con ferocia, salvo crollargli subito dopo ai piedi e mettersi a leccarlo. “Sembra schizofrenico”, commenta il narratore; perché non siamo nella testa dei cani e non possiamo capire davvero perché si comportano così. Parafrasando Nagel, solo il cane sa com’è essere cane. Credo che questa fugace performance canina in “Iniziazioni” di Matteo Marchesini (Elliot edizioni) possa segnare la cifra di tutto il libro: sette racconti su sette diversi momenti della vita in cui l’uomo di qualsiasi età sembra appunto comportarsi in modo schizofrenico, se ci limitiamo alla visione delle nude azioni. Il bambino che salta addosso al compagno di giochi e si allontana ostile dopo una breve lotta para-erotica. L’adulto abbandonato che lascia la casa dove andrà a vivere la sua precedente donna col suo nuovo uomo. Il vecchio che regala alla badante della moglie demente gli orecchini che quest’ultima non mette più, e resta un attimo a guardare la donna che se li prova mentre parla dal corridoio alla compagna di una vita. Considerati da una prospettiva canina, questi atti non troverebbero senso, non più del ringhiare e poi leccare senza soluzione di continuità; ma compito della narrativa (fatta bene) è di scandagliare il sommerso delle azioni senza giudizio né meccanicità, e per favore senza sermoni psicologici o morali, e “Iniziazioni” lo fa dalla prima all’ultima pagina con una misura il cui calibro si sente dietro ogni riga.

Mi domando se Marchesini (penna raffinatissima ben nota a queste pagine: e il primo dei racconti era apparso un paio d’anni fa su Il Foglio Review) non abbia cercato una mossa diversiva con l’ordinare secondo età crescenti i sette racconti, con uno stratagemma simile ai quattordici di “Gente di Dublino”, dando così l’impressione che la silloge potesse costituire un romanzo di formazione collettivo, scandito da quei momenti decisivi, le iniziazioni, che all’improvviso sembrano porci al di fuori degli anni che abbiamo, e della vita che ci illudiamo ogni volta essere stabile. Penso invece che la vita faccia come il cane, ringhi e lecchi disorientandoci e soprattutto senza stare mai ferma; sembra schizofrenica; per cui Marchesini potrebbe averci voluto dire l’esatto contrario di quel che sembra a prima vista, ossia che non conta l’età che abbiamo, siamo sempre piccoli come il bambino che ci resta male quando l’amico più grandicello lo scansa dopo avere inavvertitamente eiaculato giocando (giocando?). Le età passano e non cresciamo mai. Nel racconto più anatomico dei sette, quello sul cinquantenne che insegna storytelling in piccole aziende di provincia, al solo scopo di consolarsi del fallimento creativo e rimorchiare ventenni ingenue (stando invece ben attento a non impelagarsi nelle solite storielle strazianti con le professoresse), il sesso viene elevato proprio a questo: una compulsione di cui fatichiamo a capire natura e scopo, salvo poi convincerci che sia razionalizzabile secondo caratteristiche astratte, a cui ci aggrappiamo con convinzione salvo venire smentiti dai fatti in modo talora spettacolare: non spoilero il finale, salvo dire che arriva un’ambulanza.

Un lettore superficiale può dire che il sesso sia la costante dei sette racconti, ma non terrebbe presente che alla fin fine scopare è come traslocare, ciò che accade al protagonista del quarto: una fatica improba finalizzata a un bene maggiore, verso cui si fatica però a dirigersi. E’ come giocare, nel primo racconto: una vana ricerca di compagnia che ci fa scontrare con l’incomprensibilità delle sensazioni altrui. E’ come morire, l’azione che incombe sull’ultimo: un procedimento naturale di cui si cerca di differire il più possibile la fine. Questo credo ci dica il libro di Marchesini, nel suo tuffarsi sotto l’incresparsi della vita e riemergere con quelle parole e quei gesti che non ci aspettavamo di trovare sui fondali; ringhiamo e lecchiamo, sembriamo schizofrenici, e solo l’uomo sa com’è essere uomo.

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