A sinistra, Giacomo Puccini - foto Ansa

La recensione

Non le opere ma i giorni, gli amori e le passioni: Puccini in confidenza

Mattia Rossi

Tralerighe Libri pubblica una bibliografia puccininana a cento anni dalla morte dell'autore. L'opera abbonda di cuoriosi aneddoti poco noti e del suo rapporto con le donne

In questo anno in cui ricorre il centenario della morte di Giacomo Puccini, Giampiero Della Nina gli dedica un saggio che, nonostante la ridondante bibliografia pucciniana, riesce a dire qualcosa di nuovo. Della Nina, infatti, in Giacomo Puccini. Familiari, amici, amori (Tralerighe Libri, 236 pp., 22 euro) raccoglie una serie di testimonianze dirette che tratteggiano più che altro l’uomo e le sue passioni: la musica, ovviamente, ma anche la caccia, le auto, il fumo e, soprattutto, le donne. Non c’era miglior modo, dunque, di omaggiare il grande compositore a cent’anni dalla morte se non affiancando, ai necessari e imprescindibili studi musicologici, anche qualcosa di più curioso.


Il giovane Giacomo, nato in un’affermata famiglia di organisti (nel 1910 Arnaldo Fraccaroli scrisse che “in casa Puccini a Lucca da quasi due secoli si nasceva organisti come in altre case si nasce conti o milionari: così, per diritto ereditario”) ben presto si distinse sui banchi di scuola, ma non per i risultati: “Viene a scuola solo per consumare il fondo dei calzoni: non sta attento a niente e bussa continuamente sul banco come se fosse un piano”, fu il giudizio di un suo insegnante. 

Preziosi sono i singoli capitoli dedicati a ogni parente o amico di Puccini in cui Della Nina porta alla luce aneddoti ed episodi pochissimo noti: quando si incrinarono i rapporti con il cognato divenuto sindaco di Lucca che mai rese carrozzabile la mulattiera che conduceva alla villa di Chiatri del maestro; quando finì in tribunale a processo assieme all’amico Giuseppe Papeschi per aver inscenato il suicidio di quest’ultimo; il rapporto strettissimo con la sorella Iginia, suora nel monastero di Vicopelago di Lucca di cui fu benefattore; la complicità con la sorella Ramelde con la quale era solito scambiare battutacce anche piccanti (quando il marito, che gli forniva il vino, per un po’ non gli rispose, Puccini le scrisse: “Lui non venne mai come mi disse di fare. Se è così lento a venire, sei una moglie invidiabile”); quando annusava le mani dell’autista per capire se aveva “rubato” mandarini dalla pianta del giardino; quando nell’agosto 1894 venne denunciato per caccia abusiva; quando sorprese il figlio sedicenne Tonio a letto con la cameriera: lei venne licenziata e lui spedito in collegio.


L’ultima parte del libro, invece, è dedicata agli amori di Puccini. Innanzitutto quello scandaloso con Elvira Bonturi, donna sposata che abbandonò il marito per stare con Giacomo. Poi la giovane amante torinese Corinna Maggia (la tresca venne scoperta da Elvira che iniziò pure a controllare la posta del compagno) e quella di Torre del Lago, Giulia Manfredi. La moglie era così gelosa che sospettò anche erroneamente della cameriera Doria Manfredi: venne licenziata, Doria si suicidò ed Elvira venne denunciata, processata e condannata. Una passione, quella per le donne e per il sesso, tale che Elvira, per placare Puccini, ogniqualvolta dovesse incontrare qualche donna, gli somministrava abbondanti anafrodisiaci nel caffè.

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