parole eretiche
L'origine moderna del grande cortocircuito che ha mandato in tilt l'Occidente
Si è avviata una fase di regressione tra libertà, linguaggio e pensiero. Da tempo le grandi istituzioni occidentali hanno creato al proprio interno delle zone di comfort in cui ripararsi e fuggire dal "trauma" del mondo
Pubblichiamo in anteprima la Prefazione de “Il manifesto di un eretico. Saggi sull’indicibile”, il volume di Brendan O’Neill da oggi in libreria per Liberilibri (192 pp., 16 euro).
Il manifesto di un eretico è un libro insolito e inquietante. Si potrebbe definire, in estrema sintesi, una galleria di mostri generati dal sonno della ragione. Solo che “i mostri” di cui il libro parla non arrivano da altri mondi, ma siamo noi, l’occidente ripreso nel suo funzionamento pratico e quotidiano: nelle istituzioni, nelle aziende, nelle università, nei mezzi di comunicazione, nei libri, insomma, in tutto ciò che costituisce quella che chiamiamo società.
In nove capitoli, Brendan O’Neill racconta la contemporaneità passando in rassegna quelli che egli ritiene i temi centrali del nostro tempo: l’ideologia gender che stravolge la relazione tra linguaggio e realtà biologica, cercando di rimodulare la realtà delle cose attraverso una neolingua; il cambiamento climatico considerato come una nuova forma di peccato originale in forza del quale l’esistenza umana dovrebbe essere sottoposta a una Nuova Inquisizione; il Covid come metafora della nostra colpevolezza nei confronti di una Natura che si ribella e ci punisce, e per la cui salvaguardia dovremmo essere pronti a rinunciare alla nostra libertà; l’incapacità di difendere i valori della ragione occidentale, soprattutto la libertà della donna, di fronte a ideologie islamiste, per timore dell’accusa di “razzismo”; e appunto, la spaventosa ri-attualizzazione del concetto di razza (che si sperava per sempre cancellato) in chiave di politiche identitarie anti-maschio-bianco; infine, il trionfo, nelle accademie, in teoria luoghi per eccellenza del pensiero libero, di un’ideologia repressiva che bandisce ogni forma di pensiero difforme.
Vedere questi argomenti trattati insieme fornisce un’immagine drammatica dello spazio culturale e mentale della nostra epoca. Questi temi, infatti, nell’ottica dell’autore costituiscono una sorta di struttura monolitica del mondo contemporaneo. Il linguaggio, le azioni, le politiche, i comportamenti, tutto ciò che facciamo deve adeguarsi a questo orizzonte culturale totalizzante. Se non si segue il codice stabilito dai nuovi paradigmi della civiltà occidentale si viene squalificati, posti fuori dal consesso della società civile. Dobbiamo allora frenare le nostre lingue, adeguare i nostri pensieri, rettificare le nostre menti secondo i dettami del paradigma di correttezza imposto.
Da queste poche righe risulta chiaro il senso del titolo del libro. L’eresia è infatti da sempre sinonimo di contrarietà alla visione dogmatica dominante. L’eresia è volontà di affermazione della propria libertà e individualità di fronte a un’epoca che rifiuta di vedere ciò che la ragione pone davanti agli occhi. L’eresia è tentativo di testimoniare l’evidenza della scienza e di ciò che abbiamo intorno per poter vivere la realtà del mondo senza paraocchi e senza infingimenti, potendo parlare francamente di ciò che vediamo.
Al centro del libro, a legare tra loro le tematiche trattate da O’Neill, vi è l’evidente cortocircuito che, in occidente, si è creato tra linguaggio, pensiero e libertà. Il controllo del linguaggio implica, necessariamente, il controllo del pensiero, e il controllo del pensiero è ciò che stabilisce se e quanto si è effettivamente liberi. L’occidente, che costituisce l’apice della libertà nella storia dell’umanità, si avvita su se stesso rimanendo vittima della sua volontà di tutelare tutti e di non offendere nessuno (da cui il sottotitolo del libro: Saggi sull’indicibile).
Come scrive O’Neill in un passaggio dedicato al parallelismo tra cambiamento climatico e caccia alle streghe, anche nei momenti più difficili della repressione medievale e controriformista in qualche modo “si intravedeva la strada verso la libertà e la verità. Nel nostro mondo, caratterizzato da comfort e abbondanza, stiamo tornando alla superstizione e alla paura”. E’ come se il processo che ha portato dal buio alla luce si fosse fermato avviando una grande fase di regressione della libertà di cui non si intravede il fondo.
O’Neill individua la sorgente di questo cortocircuito nella realizzazione di quella lunga fase storica chiamata Modernità, ovvero la fase segnata dal primato della ragione nella comprensione della realtà, dal progresso prodotto dalla scienza, da una più equa rappresentanza politica, dallo straordinario benessere generato dal sistema di produzione capitalistico. Ora tutto ciò sembra esserci venuto a noia, logorato dal suo stesso successo. La ragione ha potuto tutto, fino a cancellare persino Dio dal nostro orizzonte lasciandoci padroni del nostro destino. A questo punto, però, che fare? Dove andare? Non potendo tornare indietro bisogna muovere in avanti, con le risorse di intelligenza, di razionalità e di benessere che abbiamo accumulato. Ma ciò sembra non bastare.
I bisogni che si possono definire “extra-razionali”, bisogni salvifici, escatologici, bisogni di “trovare un senso” che un tempo venivano riassorbiti dalla religione o dalle ideologie politiche, si sono trovati senza casa. E allora sono stati canalizzati in una nuova religiosità laica costruita su tutte quelle componenti della nostra società che hanno in comune un unico grande nemico: l’individuo occidentale, il suo sistema economico-sociale, la sua libertà. L’aspetto più importante per questa nuova religione laica, il suo principio d’azione, è che nessuno soffra, per nessun motivo (anche il più triviale e remoto e aleatorio). Ma chiaramente, una tale visione è assimilabile a quella di un bambino che non tollera ciò che si oppone ai suoi desideri, o di un fanatico che vuole costruire il regno dei cieli in terra (come ogni totalitarismo della storia). Questa visione contrasta radicalmente con ogni prospettiva realista e razionale che cerca di conoscere il mondo per quello che è, di cambiarlo poco per volta per quanto è possibile, con la consapevolezza del fatto che i nostri desideri devono solitamente confrontarsi e scontrarsi con la realtà. Il mondo non è pongo malleabile cui possiamo dare la forma che preferiamo.
Il difficile equilibrio tra la ragione e le cose costituisce il dramma dell’esperienza umana. Questo dramma, però, con il dolore generato dal confronto con la realtà che ci forma come uomini, oggi lo si rifiuta. L’intolleranza verso ogni forma di dolore, lo spiega bene O’Neill nel libro, è diventata tale che la maggior parte delle grandi istituzioni occidentali (dalle scuole, alle università, alle aziende) ha creato al proprio interno dei safe spaces, sorta di asili per adulti in cui si può essere a riparo dal “trauma” costituito dal semplice essere nel mondo, dal fatto di dover ascoltare opinioni diverse, parole che non piacciono. E’ difficile trovare un’immagine più caricaturale e allo stesso tempo più drammatica del nostro tempo dei safe spaces. I traumi in cui consiste il vivere e che costituiscono l’esperienza educativa dell’essere nel mondo vengono visti come il male assoluto da cui rifuggire, mentre la tutela delle emozioni e dei sentimenti diviene l’unico scopo da perseguire, perché i sentimenti e le emozioni diventano la nuova verità che consente di capire ciò che è bene e ciò che è male.
La grande idea greca, fondamentale per l’arco culturale occidentale, della conoscenza attraverso il dolore (pathei mathos) viene annichilita da questa prospettiva. L’esperienza e la conoscenza del mondo sono, per loro natura, traumatiche e dolorose: il mondo ci viene incontro con un urto, come un corpo estraneo che progressivamente assimiliamo e proviamo a cambiare, ad adattare ai nostri bisogni. L’occidente, imbevuto di pietas, di apertura e di tolleranza, per eccesso di sensibilità e raffinatezza sembra divenire vile e suscettibile fino allo sfinimento, come un prodotto troppo elaborato. E invece di aprirsi ulteriormente si chiude e collassa su stesso inghiottendo i due concetti su cui si è costruito: l’individuo (la persona) e la libertà.
Da decenni questo spazio storico che chiamiamo occidente si guarda e non si riconosce più (molto efficaci le pagine che O’Neill dedica all’identità, divenuta ormai una pura auto-attribuzione: sono chi dico di essere, indipendentemente da ciò che effettivamente sono). Ma chi non si riconosce non sa neppure da cosa difendersi o per cosa combattere.
L’unico risultato che una simile religione laica può generare è un mondo ridotto a un colossale safe space, uno spazio sicuro planetario in cui nessuno debba più soffrire neppure per un “pensiero difforme”. In cui nessuno possa essere turbato da un’opinione eretica che si stacca dalla predicazione generale. Un mondo, in ultima istanza, di soggetti tutti uguali che pensano le stesse cose su ogni aspetto della vita. L’unico safe space possibile è quello di una società totalitaria privata di qualsiasi forma di libertà. E questo perché dove il più piccolo barlume di libertà e di individualità resiste, lì coverà sempre anche l’eretico, chi osa dire no, chi osa sfidare l’opinione comune con le proprie parole e aprire squarci di libertà. Non si può infatti avere tutto in ogni momento. A volte, per essere liberi (la cosa più importante per un uomo), può essere necessario essere irrispettosi, visto che il “rispetto” è in alcuni casi la vernice che copre la nostra pavidità.
Concludo con le parole di O’Neill che riassumono magnificamente la struttura portante dell’intero libro: “La parola può essere pericolosa. Il discorso fa male. Molto spesso è destinato a farlo. Questo è uno dei suoi poteri. Infatti, gli eretici […] sapevano benissimo che il loro discorso era offensivo, che sarebbe stato inquietante e persino minaccioso per molti di coloro che l’avrebbero ascoltato, eppure hanno continuato a parlare. Hanno usato le loro parole come armi […] Se la parola non avesse questo potere – di sconvolgere, di rovesciare, di cambiare radicalmente le menti e i mondi – che senso avrebbe difenderla?”.
Universalismo individualistico