l'intervista
Andrée Ruth Shammah (Teatro Parenti): “Noi avamposto del sionismo a Milano? I ragazzi sono stupidi”
La direttrice del teatro milanese, con cui i collettivi di Brera hanno chiesto di interrompere le convenzioni: "Si fanno un danno da soli. Noi criticati solo perché vogliamo dare voce a chi non ce l'ha. Il sindaco Sala? Da lui un silenzio assordante"
“Il problema non sono nemmeno i ragazzi. Il problema vero sono gli adulti, che hanno rinunciato a spiegare la complessità del mondo. Come se parlando di guerra si potesse essere solo pro o contro, come se fosse una partita di calcio”. Andrée Ruth Shammah è la fondatrice e direttrice del Teatro Franco Parenti, a Milano una vera e propria istituzione culturale. Approfitta di questo colloquio col Foglio per rispondere ai collettivi dell’Accademia di Brera, che hanno chiesto di stracciare la collaborazione con il teatro perché sarebbe un “avamposto del sionismo” in città. “Vogliono interrompere la convenzione? Sono stupidi, che vuole che le dica. Stanno perdendo dei vantaggi. Abbiamo gli spettacoli più belli della città. Ma di certo non ci castigano: continueremo ad avere le sale piene. Che allora rinuncino pure ai Bagni Misteriori, la piscina del Parenti”, dice Shammah.
Regista teatrale, proveniente da una famiglia sefardita fuggita da Aleppo, Shammah ha lavorato con i nomi più prestigiosi del teatro italiano. A partire da Giorgio Strehel, Paolo Grassi e Franco Parenti, con cui darà il via all’avventura che ancora si protrae fino ai nostri giorni. Nell’immediato post 7 ottobre, nel suo teatro ha preso a organizzare serate di riflessione sul conflitto israelo-palestinese. “Ma si tratta di circa il 3 per cento del totale dell’offerta degli spettacoli, che sono tipo 900 all’anno. Faremo un’altra serata il 6 giugno, poi la presentazione di un libro, e poi basta. Non perché ho paura, sia chiaro. Ma è grave che ci sia stato un silenzio assordante da parte delle istituzioni cittadine. A partire dal sindaco di Milano Beppe Sala, che avrebbe non potuto ma dovuto dire e fare molto di più”.
Il paradosso, spiega ancora la direttrice del Parenti, è che “si accusa un luogo che da voce a chi non ha voce solo perché non si vuole dare spazio ad altri punti di vista, a chi si interroga su quale sia la soluzione per uscire dal conflitto. La verità è che quelli che per strada urlano ‘Palestina libera dal Giordano al mediterraneo’ una soluzione ce l’hanno: la cancellazione dello stato d’Israele. Solo che a quelle stesse persone andrebbe spiegato che prendono applausi da Khamenei, uno che gli omosessuali li brucerebbe in piazza ed è peggio di Hitler. Ecco perché molto spesso, anche quando parlano di sionismo, questi poveri ragazzi non sanno nulla, ripetono solo degli slogan che non capiscono nemmeno”.
Guardando a quello che sta succedendo in alcune città italiane, con i sindaci che espongono le bandiere della Palestina, mentre dopo il pogrom di Hamas molti evitarono di esporre la bandiera israeliana, preferendo il vessillo della pace, Shammah si sente di aggiungere una considerazione piuttosto amara. “Cosa provo? Un senso di solitudine, di non appartenenza. E’ come se ci cacciassero dalle nostre stesse città, ci facessero sentire ospiti nelle nostre stesse case. Ma una ragione c’è ed è l’abdicazione all’orgoglio della nostra storia occidentale. Guardate che non è un problema solo per noi ebrei, ma per tutti. Aprite gli occhi: perché quello che sta succedendo a Israele rischia di coinvolgere tutto l’occidente. Sono in pochi a rendersene resi conto davvero”.
Secondo Shammah, peraltro, il clima visto nelle università non è neppure un fenomeno contingente. “La chiamiamo deriva, ma non è una questione di oggi. Io credo che un antisemitismo latente sia sempre stato presente. Adesso riemerge anche perché ai ragazzi, che sono liberi di esprimere delle legittime critiche nei confronti ad esempio del governo Netanyahu, non c’è nessuno che risponda. Solo che io alle semplificazioni non mi abbandono, sono distruttive”, ricorda ancora la direttrice Shammah. “Sin da piccola mi hanno insegnato il gusto della complessità. In questo devo dire che sono davvero ebrea”.