Letture

Il sovranismo europeo spiegato ai populisti. Lezioni dal libro di Padoan

Stefano Cingolani

"Europa sovrana" spiega cos'è davvero il sovranismo europeo acclamato da Salvini. L'Europa, senza una governance unificata, rischia di diventare irrilevante di fronte a potenze come Cina e Stati Uniti

Nel caso dell’Europa, il concetto di sovranità è allo stesso tempo più e meno esteso rispetto all’usuale concetto di sovranità nazionale. È più esteso perché riguarda un insieme di paesi che condividono la sovranità medesima. È meno esteso perché riguarda solo alcuni aspetti della sovranità statale. Questo rende la questione della definizione di una sovranità europea particolarmente complessa perché riguarda un processo in transizione continua, che richiede il consenso di numerosi paesi, con preferenze e approcci nazionali spesso diversi e non immediatamente aggregabili”. Così scrivono, nel loro libro pubblicato da Laterza, Paolo Guerrieri oggi visiting Professor alla Paris School of International Affairs, Sciences Po (Parigi) e Pier Carlo Padoan già ministro dell’economia e presidente di Unicredit. Un volume il cui titolo basta a irritare la nuova destra: “Europa sovrana”.
 

Complessa? No, la sovranità europea è molto più semplice di quel che si pensi per Matteo Salvini. Lui non ci crede. Non è chiaro fino a che punto creda alla sovranità nazionale (e non regionale, comunale o locale in genere), tanto meno crede che essa possa diventare la declinazione particolare di una sovranità comune. Per lui Bruxelles non si occupa e mai si occuperà di cose serie, ma solo di rendere la vita difficile ai pescatori e ai balneari. Dimentica il Pnrr e i 190 miliardi di euro europei che egli stesso come ministro delle infrastrutture in gran parte è chiamato a utilizzare nel migliore dei modi. Domenica 2 giugno ha calato la maschera, attaccando anche il presidente Mattarella. Ma la pars construens del Salvini pensiero è ancora da esplorare, probabilmente da costruire. Quella di Guerrieri e Padoan, invece, è tutta una costruzione, un po’ cattedrale gotica un po’ palazzo barocco, come nella tradizione di una cultura che è sempre stata più omogenea di quanto si creda, basata su quello scambio di uomini, valori, pensiero e arte che, quando non è stato interrotto da volontà di potenza e da spinte barbariche, ha rappresentato il meglio dell’Europa.
 

Non abbiamo citato le architetture gotiche o barocche a caso, ma perché segnano due epoche chiave della vecchia Europa e hanno richiesto tempo, proprio come edificare la nuova Europa. Guerrieri e Padoan, del resto, non hanno scritto per le elezioni dell’8 e 9 giugno, hanno puntato subito al dopo. Il loro è un manuale o meglio un “reference book” per la prossima commissione. S’incrocia nei contenuti con il rapporto Letta sul mercato unico e con il lavoro sulla competitività che Mario Draghi consegnerà a luglio. Basta dare un’occhiata alla sua struttura. Capitolo primo: “Il ruolo dell’Europa nell’economia globale”; poi “Crescita e sostenibilità: recuperare il terreno perduto”; “La transizione ambientale e la competitività dell’Europa”; “Dall’integrazione monetaria all’unione economica”; “L’Europa nel  nuovo mondo”; infine “Verso una sovranità europea”. Peccato che sia un po’ diluita la difesa europea e non si dia più spazio al ritorno della guerra in un continente che sembra piombare nel suo fosco passato.
 

Il capitolo conclusivo esordisce con il rilancio della crescita, un passaggio chiave senza il quale tutta l’impalcatura non si tiene. L’Europa nei primi due decenni di questo secolo ha perso molto terreno rispetto agli Stati Uniti e alla Cina. Senza un ritorno a un solido sviluppo non c’è possibilità alcuna di diventare  “un attore globale”. Ma senza crescita economica non c’è nemmeno sicurezza. Il maggior punto critico è che entrambe richiedono una governance diversa. Il nodo da sciogliere è senza dubbio il voto all’unanimità per adottare il criterio della maggioranza. Tuttavia non basta. Servono più risorse comuni e serve un impianto istituzionale che renda la Ue un organismo sempre più integrato. Anche il rapporto tra consiglio degli stati membri, commissione e parlamento, quindi, è da rivedere.
 

Stiamo dunque entrando nel Superstato? No. Certo i due autori s’inseriscono nel grande filone federalista, ma sottolineano che l’Europa plurale è un valore non un intralcio a patto che cambi il suo funzionamento. Guerrieri e Padoan analizzano con puntualità le varie proposte sul tavolo, dal modello a cerchi concentrici a quello dei club che a loro piace di più: “Si tratterebbe – scrivono – di club rappresentati da politiche e beni pubblici europei parzialmente escludibili, e quindi non necessariamente creati attraverso un processo di integrazione generalizzata che coinvolga sempre tutti i paesi membri. I paesi partecipanti sarebbero liberi di scegliere di partecipare ad alcuni club e di ignorarne altri”.
 

Un nuovo allargamento sembra inevitabile, si pensi all’Ucraina, ma esso va accompagnato da ulteriori riforme e da una revisione dei trattati. Tempi lunghi e percorsi perigliosi, dunque, tuttavia “il maggiore rischio è lo status quo. Si verificherebbe probabilmente un arretramento dell’integrazione europea, i cui limiti non sono definibili oggi ma che avrebbe come effetto la crescente frammentazione e l’indebolimento della governance. Questo scenario, in presenza di due attori globali come Cina e Stati Uniti, potrebbe portare a una crescente marginalizzazione dell’Unione fino a un definitivo crollo del disegno europeo”.  È il messaggio conclusivo. Tra una settimana cominceremo a vedere se sarà raccolto, come e da chi.