mostre in loci amoeni
Quella statua di Alberto Burri tra i grandi artisti contemporanei
A Pistoia, la bellezza in un luogo indimenticabile. Una mostra tra ulivi e vigneti all'interno della Collezione Gori: arte, natura e accoglienza assoluta
Percorrendo una strada tra ulivi e vigneti, improvvisamente appare un’opera d’arte maestosa, due triangoli sovrapposti collegati da fasce ricurve che formano delle ogive. La strada collega Pistoia a Prato, località Santomato, e l’opera è di Alberto Burri: tra le ogive si può inquadrare la seicentesca Fattoria di Celle di cui l’installazione di Burri anticipa la collezione che nello spazio di ettari di giardino accoglie i più importanti rappresentati dell’arte contemporanea come Dennis Oppenheim, Anselm Kiefer, Joseph Kosuth, Michelangelo Pistoletto e Marino Marini. Aperta nel 1982 da Giuliano Gori, collezionista e imprenditore pratese, la Fattoria di Celle è uno dei più prestigiosi musei d’arte ambientale al mondo, testimonianza di una convivenza felice con la natura (per rispettare la natura è necessario anche cogliere i suoi frutti, come testimoniano i vini prodotti a regime biologico, ovviamente con etichette d’artista, di Luigi Mainolfi per il rosé “Pina” e dell’artista iraniano Hossein Golba, uno scrigno prezioso come il lavoro tra i filari, per il rosso dall’importante struttura “Il cardinale”) ed è da sempre gratuita, aperta a chiunque voglia perdersi tra i sentieri e gli specchi d’acqua, attento a non farsi sorprendere dall’apparizione delle opere che affollano splendidamente il giardino e che trasformano il paesaggio in elemento fondante dell’opera stessa.
Per Gianni Celati una collezione “è una quête di tracce del passato che dicono questa condizione dell’uomo che è l’essere senza origini” e tra le immagini che rimandano all’antichità, come la monumentale e primordiale Venere di Robert Morris, e quelle che invece scatenano il senso del futuro, i cavi in acciaio di Aiko Miyawaki che simbolicamente offrono l’illusione di un movimento fulmineo, la collezione Gori è anche un luogo senza tempo nato dall’unione virtuosa tra l’arte, che ha reso l’uomo uomo, e la natura che sin dalla notte dei tempi gli è compagna. Se l’arte custodisce questa possibilità di condensare un significato antichissimo attraverso forme e materiali, altrettanto può fare la poesia poiché anche lì le corrispondenze tra uomo e natura offrono fugacemente il senso dell’essere umano, “presupposto universale – annota Calasso – per chiunque accetti la visione misterica dell’esistenza”. E questo lo aveva capito Giuliano Gori che ha ideato il premio Celle Arte e Natura che dopo Antonella Anedda e Giuseppe Conte, premia Gian Mario Villalta. Il premio non è semplicemente un riconoscimento a un poeta sensibile alla natura, ma è anche l’occasione di un contatto tra l’ispirazione poetica e gli spazi della Fattoria, tra vissuto e suggestione delle opere. L’assegnazione di quest’anno ha un valore speciale perché a gennaio è morto Giuliano Gori e adesso sono i figli, Paolo, Fabio, Stefania e Patrizia, a proseguire sulla strada tracciata dal padre: la poesie di Villalta, trasformate dall’artista Vittorio Corsini in un percorso dove la presenza fisica delle parole sui muri procede verso un ipnotico dissolvimento, sono un generoso ringraziamento al visionario creatore del mondo di Celle, luogo dove la collezione si trasforma magicamente in opera di cultura e di memoria.
L’ultimo e simbolico regalo di Giuliano Gori ai visitatori che da ogni parte del mondo raggiungono la fattoria è “Il viaggio della luna” di Fausto Melotti, stupenda rappresentazione del ciclo lunare, metaforico percorso di compimento e rinascita, di un viaggio che non contempla la morte, come quello dell’arte di Celle e del lavoro di Giuliano Gori che, simile al collezionista Utz dell’omonimo romanzo di Bruce Chatwin, collezionando rende possibile la vita. Marcel Granet ha scritto che “il sapere consiste nel costituire collezioni di singolarità evocatrici”: il lavoro della famiglia Gori, il rispetto della regola di accoglienza assoluta a cui è ontologicamente legata la natura, l’idea che l’arte debba aprirsi al pubblico, lo spirito di condivisione e il potere felicemente disorientante della collezione sono le “singolarità evocatrici” di questo luogo indimenticabile.