Il mondo felpato della letteratura in italia
Poco coraggio, molte tartine, nessun nemico. La giostra dello scrittore diventato troppo pulito
Felpato, accomodante, scorrevole e sereno: il mondo della letteratura in Italia (ma probabilmente ormai è così ovunque) accoglie garbatamente i suoi scrittori, prenota posti sui tanti Frecciarossa che solcano il territorio puntando ai festival che si moltiplicano qua e là, fissa stanze d’albergo a tre o quattro stelle. E poi a sera ecco le presentazioni, le interviste, il firmacopie, le foto, le cene nei ristoranti migliori, gentilezza e ipocrisia, conversazioni pacate e sapidi pettegolezzi. Ecco le recensioni da sventolare, né buone né cattive, sempre serenamente tiepide, e poi qualche invito in televisione, se il libro sta avendo successo, e qualche invito alla radio se il libro va così così. Altri Frecciarossa, altre presentazioni, la copertina del libro sui social insieme alle foto dell’autore con i suoi lettori di Latina o di Caltanissetta, applausi e like, forse un piccolo premio, ecco la foto dei finalisti, ognuno stima l’altro anche se non ha letto neanche una riga, sorrisi, votazioni, forse un assegnuccio, di sicuro un’opera di un artista locale, ed ecco il libro in classifica per due settimane, una ristampa, altri Frecciarossa, altri palchi sui quali ripetere un discorso che ormai va da solo e dai quali ringraziare tutti, gli altri scrittori, l’organizzazione dell’evento, del premio, il presentatore così bravo, l’intervistatore così ben informato su Wikipedia, e naturalmente il pubblico, sempre attento, sempre affettuoso e speriamo che qualcuno si compri una copia de ’sto romanzo. E poi tornare a casa e cominciare a scrivere un altro libro, per garantirsi un altro giro di giostra.
Non so, forse mi sbaglio, forse va bene così, ma a volte mi sembra che il mondo della letteratura italiana sia diventato troppo pulito e borghese. Forse sono aggettivi logori, spremuti, ormai quasi insignificanti, ma sono i primi che mi vengono in mente con una certa decisione. E’ difficile capire come un piccolo manipolo di disadattati, sociopatici, depressi, schizzati, gente che per anni non è riuscita nemmeno a pagare una bolletta alle poste, ma che disperatamente ha coltivato in segreto il sogno dell’arte e si è dedicata a un mondo fuori da questo mondo, d’improvviso divenga il combustibile di una macchina che marcia indifferente sulle rotaie del Frecciarossa, che non ha altre preoccupazioni che prenotare un tavolo per venti dopo la presentazione e ricordarsi di inviare entro un mese trecento o cinquecento euro sull’iban dell’autore. Tutto è così perbene, funzionale, noioso.
Scrittori che sono sopravvissuti a nevrosi devastanti ciucciando a tutto spiano Lexotan e Xanax, che hanno prosciugato i risparmi dei genitori per pagarsi migliaia di ore dallo psicanalista, che hanno trovato scampo solo rifugiandosi in compulsive letture notturne e scrivendo da ragazzi testi sbandati, slabbrati, sbagliati, sincerissimi, ora sorridono sul palco, sorridono a cena, sono brillanti, spiritosi, colti e tanto gentili, disposti a dare il loro parere su qualsiasi argomento. C’è qualcosa che non va, mi dispiace. Manca l’energia della giovinezza, quell’energia negativa e positiva insieme, piena di crudeltà e di illusioni, intransigente e innamorata. Troppe opinioni e poche idee. Poco coraggio e troppe tartine. Pochi amici, nessun nemico e molti avvocati, molti uffici stampa. Crepe, spunzoni, pozzi artesiani e pareti rocciose, salti e immersioni, tutto è spianato, asfaltato da una gentilezza moribonda che però è ancora in grado di preparare palchi, alzare microfoni, sistemare l’acqua minerale non gassata accanto alla poltroncina dell’autore ospite, e mormorare “la serata ha inizio, siamo felici di avere qui, nella nostra cittadina, il celebre scrittore…”. E il celebre scrittore fino a qualche anno fa era davvero un tipo particolare: bocciato varie volte a scuola, afasico fino a dieci anni, poi mezzo catechista e mezzo teppista, visioni mistiche e cassonetti bruciati, e su un quaderno le prime poesie che spaventavano i genitori e gli insegnanti, bipolare, tripolare, un mezzo tentativo di suicidio, anoressia, bulimia, confusione, molto alcol, e alla fine il primo romanzo, zoppicante ma con lampi di verità, incerto ma con parecchie righe da sottolineare con forza. Chiunque fosse, era un tipo originale, forse un po’ inquietante ma capace a volte di spaccare lucchetti e frugare in un altrove. Ora, dopo cinque anni e altri tre romanzi, si sistema la giacca prima di ripetere il suo ragionevole sermone, rassicurante, ecumenico, una botta alla realtà e una alla fantasia, sociale ma anche individuale, pessimista ma anche ottimista, il romanzo è lungo ma leggibilissimo, state tranquilli. Era un mezzo pazzo, ora è un bel pupazzo. Tanto poi si va a cena, c’è chi paga e chi mangia, si beve vino buono, si fa un po’ il cascamorto con la sponsor biondona, ci si informa su quante copie ha venduto il libro, si brinda alla bellezza e alla verità, agli amici eterni di questa splendida cittadina dove non torneremo più. Scappati di casa, prima, ora ripresi e addomesticati.