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L'impero dei libri di Simon & Schuster

Marco Bardazzi

Cento anni di cultura americana, una sola casa editrice. Le grandiose sfide di chi ha plasmato l'editoria degli Stati Uniti, e con essa la storia di un paese: dal Watergate all’IA

Non è facile trovare qualcosa in comune tra Bob Woodward e Stephen King. O tra Walter Isaacson e Dan Brown. Per non parlare di Hillary Clinton e Dick Cheney. Eppure condividono una casa. E’ la stessa dove sono nate le straordinarie, diversissime autobiografie di Bob Dylan e Bruce Springsteen. E’ il luogo dove Francis Fukuyama ha trovato il titolo giusto per un libro di cui si discute da decenni: “La fine della storia”. Ed è anche il posto che può vantare di avere in catalogo e di ristampare in continuazione capolavori come “Il grande Gatsby” di Scott Fitzgerald, “Addio alle armi” di Hemingway o “Underworld” di DeLillo.

L’indirizzo di questa casa comune è 1230 Sesta Avenue, a New York, in un grattacielo sul retro del Rockefeller Center. Di fronte al palazzo di News Corp che ospita FoxNews, il Wall Street Journal e il resto del regno americano dei media di Rupert Murdoch. E’ qui che alcuni dei più importanti autori del mondo sono gestiti e coccolati da un editore che ha segnato la storia della narrativa e della saggistica americana e ora festeggia, insieme alle proprie firme, il traguardo dei cento anni di attività: Simon & Schuster, la casa editrice dei grandi successi e dei continui cambi di proprietà.

Un brand che è anche un termometro per misurare lo stato di salute della cultura americana e occidentale e un osservatorio privilegiato per capire dove sta andando l’industria dei libri. Le celebrazioni e le riflessioni in corso per il primo secolo di vita di S&S, come la chiamano gli addetti ai lavori, sono un’ottima occasione per ripercorrerne la storia e per cercare di anticipare ciò che è in arrivo con la grande disruption portata dall’avvento dell’intelligenza artificiale generativa.
Simon & Schuster fa parte del ristretto club di quelle che vengono chiamate le Big Five dell’editoria statunitense. Le altre quattro sono il colosso Penguin Random House, Hachette, HarperCollins e Mcmillan. Sono loro a dividersi gran parte della torta dei circa 30 miliardi di dollari di valore dell’industria dei libri negli Stati Uniti, che a sua volta rappresenta una fetta importante di un mercato globale che vale intorno ai 130 miliardi di dollari. Ma le Big Five non sono più semplici case editrici, bensì conglomerati che si sono formati per le continue fusioni e acquisizioni che si susseguono da oltre un decennio. E’ l’effetto del terremoto che l’epoca digitale ha portato nel mondo editoriale, non solo per i libri ma per esempio anche nel settore dei giornali. Tenere in piedi grandi realtà dedicate alla produzione di narrativa e saggistica di qualità è sempre meno redditizio e richiede di unire le forze.

Lo sanno bene i britannici di Penguin Books, fondata nel 1935, e gli americani di Random House, nata nel 1927, tre anni dopo Simon & Schuster. Nel 2013 si sono fusi nel gigante anglo-americano che ora domina il mercato, che a sua volta qualche anno dopo è stato acquistato dal colosso tedesco Bertelsmann. Poteva diventare un megapublisher ancora più grande se fosse andato in porto, nel 2020, l’acquisto proprio di S&S. Un’operazione da oltre due miliardi di dollari che è stata però bloccata dall’antitrust del governo federale americano. Simon & Schuster è abituata ai cambi di proprietà, ne ha già vissuti sette da quando è stata fondata nel 1924. Il penultimo l’aveva portata nell’orbita di ViacomCBS, poi diventata Paramount Global, un’altra conglomerata che tiene insieme cinema, tv e telecomunicazioni. Non era probabilmente il contesto migliore per gli specialisti di S&S, che vivevano un po’ dimenticati in una nicchia che non era ritenuta strategica per la proprietà. Non era però neppure semplice trovare un acquirente che garantisse il futuro della società nel settore editoriale, senza creare problemi di antitrust. E visto che ormai dal calcio ai libri a risolvere i problemi sono sempre i fondi d’investimento, dopo il fallimento dell’operazione Penguin a farsi avanti è stato il colosso del private equity KKR, che con 1,6 miliardi di dollari ha aggiunto Simon & Schuster all’elenco sterminato di società in tutto il mondo in cui il fondo ha investito complessivamente oltre 700 miliardi.

A comandare in casa S&S sono quindi ora i top manager che lavorano nel grattacielo che KKR occupa nella nuovissima area newyorchese di Hudson Yards, a tre chilometri della sede della casa editrice. Per ora il matrimonio sembra funzionare e Simon & Schuster vive una nuova giovinezza proprio nel momento in cui festeggia un secolo, con una raffica di titoli in uscita e un ruolo importante nella vita pubblica americana: i libri più importanti sulla politica statunitense sono tutti pubblicati qui e ne arriveranno a breve altri (su cui l’editore mantiene il segreto) per accompagnare la volata finale della corsa alla Casa Bianca.
E’ una tradizione che ha avuto il suo momento più importante esattamente cinquant’anni fa, il 15 giugno 1974, quando Simon & Schuster presentò al mondo un libro scritto da due giovani cronisti del Washington Post che, per la prima volta nella storia americana, avevano appena fatto dimettere un presidente, Richard Nixon. Il libro si intitolava “Tutti gli uomini del presidente” ed era il racconto di prima mano scritto da Woodward e dal suo collega Carl Bernstein su come avevano lavorato per svelare lo scandalo Watergate. Fu un boom editoriale, con la scoperta tra l’altro da parte del grande pubblico dell’esistenza di una fonte ribattezzata “gola profonda”, la cui identità (l’ex vicedirettore dell’Fbi Mark Felt) rimase segreta fino al 2005. Una lettura sconvolgente, che cambiò l’intera vita politica americana e spinse nel giro di due anni il regista Alan Pakula a realizzare una versione cinematografica del libro, con Robert Redford e Dustin Hoffman nei panni dei due giornalisti.

Fu un momento di gloria che accompagnò i festeggiamenti del mezzo secolo di vita di una casa editrice che era nata con lo spirito di una startup. Nel 1924 Richard Simon e Max Schuster erano due neolaureati ebrei della Columbia University innamorati dei libri, ma con scarsi mezzi finanziari. Simon era figlio di immigrati tedeschi, una famiglia ebraica con la passione per la musica e in particolare per il jazz. Uno dei fratelli di Richard divenne batterista nell’orchestra di Glenn Miller, un altro fratello diventerà l’accordatore dei pianoforti dei fratelli Gershwin, George e Ira. Richard cominciò la carriera post-universitaria vendendo pianoforti e dando dimostrazioni sul loro suono, lo stesso lavoro che faceva agli inizi George Gershwin, un altro figlio di immigrati ebrei ucraino-lituani che proprio nel 1924 divenne famoso con la sua “Rapsodia in Blu”. La musica è rimasta nel dna della famiglia del co-fondatore della casa editrice, che ha avuto per figlie la celebre cantante Carly Simon, oggi ottantenne e due sue sorelle che sono state una soprano del Metropolitan e un’autrice di musical a Broadway. Max Schuster era a sua volta nato in Ucraina ed era sbarcato in America con i genitori prima ancora di compiere un anno. Alla Columbia aveva studiato giornalismo e i suoi primi passi nel mondo del lavoro li aveva compiuti proprio nelle redazioni. Quando Simon e Schuster si conobbero, poco più che venticinquenni, scoprirono di avere entrambi il sogno di pubblicare libri. Crearono una società nella quale investirono tremila dollari a testa, poi decisero che avrebbero raccolto soldi tra amici e familiari per fare il salto di qualità. Si ritrovarono con cinquantamila dollari di finanziamento, ma la loro startup non ebbe bisogno di usarli e li restituirono. Perché nel frattempo avevano piazzato il loro primo colpo. Invece di partire dalla letteratura e dai libri “colti”, come primo prodotto editoriale la Simon & Schuster lanciò un libro di cruciverba. Fu un successo clamoroso, li riempì di soldi e permise il decollo della casa editrice.

Simon & Schuster nel corso dei decenni si guadagnò la fama di editore di qualità, ma lanciò anche una serie di prodotti innovativi come i primi pocket book, i tascabili che resero il mondo dei libri più accessibile a tutti. La casa editrice entrò poi nel mondo dell’editoria per ragazzi, acquisendo tra l’altro i diritti di alcuni capolavori immortali come “Tom Sawyer”, “Huckleberry Finn”, “Robinson Crusoe” e “Ivanhoe”. Poi fu la volta della grande letteratura, con l’entrata della Scribner’s nell’universo di S&S e quindi con l’arrivo, nel catalogo, di autori come Ernest Hemingway, Francis Scott Fitzgerald, Henry James e di contemporanei come Stephen King e Don DeLillo. Per festeggiare i propri cento anni di vita, Simon & Schuster ha creato una commissione interna che ha lavorato per mesi per definire la lista dei propri cento libri più importanti. Scorrendola, si ritrova un pezzo di storia d’America, una lunga lista di premi Pulitzer, qualche Nobel, romanzi che hanno segnato generazioni come “Fahrenheit 451” di Ray Bradbury, “Comma 22” di Joseph Heller o “Danny l’eletto” di Chaim Potok. Ma anche le grandi biografie storiche di David McCullough, i volumi di strategie e di geopolitica di Henry Kissinger o le autobiografie di Jimmy Carter e di Pelè.

Uno degli autori che è sempre rimasto fedele a Simon & Schuster è Woodward, il cui editor di fiducia continua a essere l’attuale amministratore delegato della società, Jonathan Karp. L’ex cronista e oggi editorialista del Washington Post ha continuato a indagare sulla Casa Bianca e pubblicato, nel corso degli anni, molti libri importanti sui segreti delle varie amministrazioni che si sono succedute dai tempi di Nixon. E potrebbe essere proprio un nuovo volume di Woodward una delle sorprese che la casa editrice dice di avere in serbo per la fase finale della campagna elettorale. Il segreto del successo duraturo, nonostante le mille difficoltà e i cambi di proprietà, secondo Karp sta nell’attenzione maniacale che S&S dedica alla scelta degli autori e al lavoro di editing che viene fatto su ciascun volume. Una qualità che oggi deve fare i conti con le sfide dell’intelligenza artificiale. Karp, nelle interviste concesse per il centenario, l’ha descritta come una grande opportunità dal punto di vista dell’aiuto che può offrire a chi lavora nel mondo della creatività e della scrittura. Ma anche come un pericolo quando l’IA viene intesa solo come raccolta dati indiscriminata. Come esempio dei rischi che corre il settore, in casa S&S citano un progetto (fallito) di acquisizione della casa editrice che è avvenuto di recente da parte di Meta, la società di Facebook e Instagram di Mark Zuckerberg. E’ saltato fuori che un’idea dei big tech della Silicon Valley è quella di acquisire cataloghi interi di libri e archivi dei giornali per “nutrire” e addestrare gli algoritmi dell’intelligenza artificiale generativa, insegnando loro a scrivere e creare in modo sempre più simile a quello che avviene con gli umani. E’ uno sviluppo che ha spinto gli editori come Simon & Schuster e i grandi giornali come il New York Times ad avviare battaglie legali contro le realtà dell’IA, in difesa del copyright e di una creatività giornalistica e letteraria che va tutelata da un’automazione che potrebbe rivelarsi pericolosa.

Il futuro del settore adesso si gioca in gran parte nell’evoluzione del nuovo ecosistema digitale disegnato intorno all’IA. Potrebbe rivelarsi una sfida esistenziale o un nuovo inizio caratterizzato dal fiorire di una letteratura ibrida nata dalla collaborazione tra uomo e macchina.
Karp si dice ottimista sul fatto che nessuna intelligenza artificiale potrà sostituire la sorpresa di scoprire storie e autori che si presentano sulla scena con racconti capaci di stupire e anche commuovere. Il caso che si cita di più in questi giorni in casa S&S è quello di Genevieve Kingston, una giovane autrice di cui è appena stato pubblicato il primo libro, un memoir intitolato “Did I Ever Tell You?”. E’ la versione letteraria di un articolo che la Kingston aveva pubblicato sul New York Times, che aveva catturato un’enorme attenzione. “Tutte le case editrici volevano questo memoir, sono orgoglioso che lo abbiamo noi”, ha raccontato Karp. “Non sono una persona che si commuove facilmente, ma quando ho letto il manoscritto non riuscivo a smettere di piangere”.
E’ la storia di Genevieve e di sua mamma, morta quando la scrittrice aveva undici anni. Quando la madre si rese conto che stava per lasciarla, preparò per la figlia una cassa piena di lettere e regali che avrebbe dovuto aprire in occasione dei suoi compleanni e dei momenti importanti della sua vita: fidanzamento, matrimonio, nascita del primo figlio. Un modo per esserle vicina e accompagnarla anche da morta. Non tutti i pacchetti regalo sono stati aperti, perché Genevieve deve ancora sposarsi e avere un figlio, ma il libro ripercorre un’adolescenza e l’inizio dell’età adulta accompagnati dai consigli e i racconti contenuti in quelle lettere. Una straordinaria storia di amore madre-figlia che sta commuovendo l’America. “Ecco, vediamo se l’IA sarà mai in grado di scrivere qualcosa del genere”, commenta Karp.

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