pagina 69
Date retta a Nabokov e a quei dettagli che fanno la differenza
Si parte con il carotaggio dei candidati al Premio Strega e non si inizia proprio bene. Il primo libro è Romanzo senza umani di Paolo Di Paolo
Prima o poi doveva succedere. Da quando abbiamo iniziato questo carotaggio sui finalisti al Premio Strega – cinquina, o sestina: c’è la corsia preferenziale per un titolo pubblicato da un piccolo editore – incontriamo scrittori che garantiscono per il libro a venire una pagina 69 a prova di critica. Limata, lucidata, senza inciampi, svettante tra le pagine che la precedono o la seguono: l’ultima cosa che faranno prima di licenziare le bozze.
Paolo Di Paolo, tra i sei finalisti di quest’anno con Romanzo senza umani (Feltrinelli) offre a pagina 69 il candore di un capitolo che inizia. C’è scritto “Tre”, e nulla più. Sono otto capitoli, con le pagine bianche prima e dopo. Il libro ne conta 244, siamo stati abbastanza sfortunati. Tanto più che l’indice, sempre nel capitolo Tre, alla pagina 81 ha un “ciao Proust!”: mostrando una confidenza che poteva essere interessante.
Passiamo dunque a pagina 99. Dalla regola di Marshall McLuhan per la veloce perizia di un libro, al suggerimento di Ford Madox Ford (che non era saggista ma un romanziere). Leggiamo le prime righe: “Cammino come pedinato da me stesso, i passi rimbombano sul pavé”. Idea bizzarra, forse per mostrare la desolazione era meglio il calcio al barattolo da film noir (a volte con miagolio d’accompagnamento a volte no). La circostanza è seria: “Ho l’aria di quei solitari insensibili all’igiene che ti spingono a cambiare marciapiede” – segno che il camminatore ancora ricorda i vincoli della convivenza civile, e la “compostezza asburgica” che vige da quelle parti.
Il nostro – “storico di professione”, precisa il risvolto di copertina – cammina sulla riva del lago tedesco. “Dall’altra parte le luci arrivano stroboscopiche e nebbiose, come nella bolla di una lacrima”. A chi non è mai successo? E chi non è mai entrato in un locale per cercare un bagno? E imbattersi in un giovanotto sui trenta: “La camicia di jeans arrotolata sulle braccia le rivela fitte di geroglifici”.
La descrizione è precisa. Ma come sosteneva Vladimir Nabokov, non serve raccontare tutti i dettagli, senza “teologia né geometria”. Bastano quelli che fanno la differenza – nel senso del genere prossimo e della differenza specifica, alla base sia delle classificazioni scientifiche e sia del lavoro dello scrittore: “Il romanzo senza umani” a pagina 99 ha due espatriati, l’avventore e il barista, che subito sgama l’accento italiano perché è italiano anche lui. Forse stiamo arrivando a uno degli “incidenti emotivi” evocati nel risvolto di copertina.
Mario Barbi cammina solitario sulle rive del lago tanto romantico e tanto spaventoso. E’ il lago di Costanza della leggenda tedesca poi ripresa da Peter Handke, il cavaliere lo attraversa e cade stecchito quando gli dicono che ha appena percorso la superficie ghiacciata (il lago gelò, davvero, nel 1573). Prima, aveva cercato di costruire una “memoria condivisa” della propria vita. Mettendosi in contatto con persone che non vedeva da anni, e raccontando la sua versione dei fatti. Da lì al destino dell’universo, è un attimo.