prospettive esistenziali

Il problema politico della verità, bersaglio in movimento nelle società aperte

Maurizio Serio

L'ultimo volume di Rocco Pezzimenti, pubblicato da Armando Editore, propone cinque conferenze in cui si declina il tema della verità sotto vari aspetti. Filo rosso dei ragionamenti, comunque, è la descrizione della verità come problema politico 

La questione della verità nelle scienze filosofiche è al centro di “De Veritate. Cinque prospettive di ricerca. Con lettere di N. Rescher, R. Rorty e H. Putnam” (Armando Editore, 208 pp., 24 euro), ultimo volume di Rocco Pezzimenti, docente di lungo corso alla Lumsa e studioso di fama internazionale noto principalmente per i suoi lavori sulla “società aperta”. Considerata la complessità del tema e l’impossibilità di riassumere un dibattito plurisecolare, è particolarmente apprezzabile la scelta dell’Autore di privilegiare una prospettiva esistenziale, che non si attesta solo su questioni metodologiche o interpretative, ponendosi l’interrogativo sui motivi per cui valga la pena “spendere la vita in una maniera invece che in un’altra”.

Le cinque conferenze qui raccolte declinano questo quesito confrontandosi, rispettivamente, con la critica postmoderna, col paradigma immanentista e psicoanalitico, con la sfida portata dalla teoria democratica, con le istanze del discorso religioso e infine con la nuova antropologia digitale oggi emergente dal prorompente innesto dell’intelligenza artificiale tanto nel dibattito pubblico quanto nelle pratiche quotidiane. 
Un possibile filo rosso del ragionamento mi pare rinvenibile nel modo in cui Pezzimenti descrive la verità come problema politico. Se la verità sia fondativa della politica o sia da questa costruita, sulla base di un’imposizione dall’alto o di un consenso dal basso, è il rovello che ha accompagnato innumerevoli riflessioni sul senso stesso della convivenza umana, dai sofisti ai giorni nostri. In mezzo a queste, certamente ragionevole è la proposta mutuata dal fallibilismo di Popper: non ha senso discettare sull’essenza o sul possesso della verità, quando essa è un bersaglio in movimento, che sfugge a qualsiasi cristallizzazione razionalistica.

Ma attenzione: tale suo attributo dinamico dice molto di più su chi la interpreta o cerca di viverla, in mezzo alle inevitabili incoerenze della natura umana: “La verità può essere stabile, ma non il nostro modo di conoscerla” (p. 89). Lungo questo percorso, certamente essa può finire strumentalizzata ai fini della legittimazione del potere politico e subordinata alla costruzione del consenso. Ma questo è il risultato di una relazione dialettica, non un postulato logico-metafisico da cui derivare la legittimità incontestabile di un sistema di dominio. 
E’ per questo che nei regimi democratici la questione della verità deve accompagnarsi al riconoscimento del pluralismo, il solo antidoto a qualsiasi pretesa monocratica di fissare i fini di una collettività su basi autoritative. Ecco smascherata allora l’infondatezza di quella concezione della politica democratica come momento di sintesi tra posizioni divergenti: tutt’al più, essa può adoperarsi nella mediazione dei conflitti attraverso l’istituzione di regole delle quali andrebbe ribadito il carattere transeunte, contingente e storicamente determinato. 

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