pagina 69

Verso lo Strega. “Aggiustare l'universo”, perfetto per chi apprezza descrizioni pedanti e senza sorprese

Mariarosa Mancuso

Anni fa alla Mostra del Cinema di Venezia qualcuno disse “La mafia è il nostro western”, inteso come fonte di innumerevoli storie. Bei tempi passati. Ora è il fascismo

"Figli della Lupa, Balilla, Piccole italiane”. A pagina 69 di “Aggiustare l’universo” (Mondadori) Raffaella Romagnolo elenca la gioventù fascista, organizzata per età come gli scout. Vien da dire, ci risiamo. Anni fa alla Mostra del Cinema di Venezia qualcuno disse “La mafia è il nostro western”, inteso come fonte di innumerevoli storie. Bei tempi passati. Ora è il fascismo.

Se ci guardiamo in giro, dal monumentale romanzo in tre volumi, più un quarto che verrà, “M-Il figlio del secolo” di Antonio Scurati (l’imbavagliato, il censurato, il non invitato) a più snelle operette con il dittatore al centro, bisogna aggiornare la frase. La dittatura fascista è il nostro western: sfondo per innumerevoli storie, contro-storie, pure qualche tentativo di ripulitura e candeggio.

Il carotaggio di pagina 69 – microcosmo che riflette il macrocosmo, in questo caso l’intero romanzo – non comincia bene. Per chi non ama, nei romanzi – e peggio ancora, nei romanzi finalisti allo Strega – la mancanza di qualsivoglia sorpresa. La piccola Ester ha un nonno che fa il sarto, “le fa toccare le pezze di cotone nero per le camicie e i rotoli di lana grigioverde per i calzoni”. 

E’ il primo giorno di scuola, con il vescovo benedicente (abbiamo sbirciato la pagina precedente, scoprendo che Ester ha tre anni e quattro mesi, portata in piazza da mamma e papà). Siamo a Casale Monferrato, in mezzo alla “baraonda” (scrive Raffaella Romagnolo). Per sottrarsi alla calca, i genitori si avviano verso il caffè sotto i portici. Arriva l’uomo con il grembiule, e dice la sua: “Altro che scuola. Sembra Carnevale”.

Atmosfera carica di foschi presagi, nelle intenzioni della scrittrice. Il lettore complice li legge come tali, sa cosa succederà e ci aggiunge del suo. Il genere è “vita quotidiana nei brutali periodi della storia” – c’è anche il gelato di fragola, il preferito dalla treenne e dal nonno Giosuè. Dettaglio che non somiglia per niente alla pistola che prima o poi sparerà, ma fa colore, vita vera, spigliata narrazione. S’intende, per chi apprezza: “Anche i nostri antenati mangiavano il gelato”. 

Altri lettori preferiscono narrazioni meno pedanti. Meno “telefonate” da un titolo e da un risvolto di copertina che svelano il parallelismo (nel linguaggio dei recensori e del lettore con aspirazioni culturali diventerà subito “metafora”, anche se è appena un’analogia). A scuola c’è un vecchio planetario da aggiustare, la maestra Gilla cerca di rimettere a posto i braccetti che reggevano i pianeti. Quanto ai pianeti, le palline di cartapesta son tutte da rifare. Spera che serviranno per stabilire un contatto con l’allieva Francesca, che da quando è arrivata in classe non parla – ma è brava e diligente. Si tratta di Ester, naturalmente: la sua famiglia è stata distrutta, assieme al nome ebraico.

Siamo colpevoli di spoiler, per aver letto solo due pagine? Niente affatto, la faccenda del planetario, dell’universo da aggiustare, della parola da ridare, erano sul risvolto. Una lezione, più che un romanzo. Poco adatta a un premio letterario.

Di più su questi argomenti: