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Churchill, eroe di guerra e personaggio rinascimentale

Carlo Nordio

L’ex primo ministro inglese non fu soltanto il più grande statista del XX secolo: fu anche soldato, giornalista, pittore, storico, marinaio e persino “bricklayer”. Ritratto a puntate di un antifascista da cui prendere esempio

Unito dal 1940 al 1945 e dal 1951 al 1955. La storia di Winston Churchill, la storia di un primo ministro capace di fare le scelte giuste per combattere con tutti i mezzi la minaccia nazifascista, è una storia formidabile che può offrirci le coordinate giuste per orientarci in un mondo come quello di oggi in cui le democrazie cercano di contenere le nuove minacce totalitarie e in un mondo come quello di oggi in cui non sempre i partiti che si dicono antifascisti sembrano trovare la convinzione giusta per combattere il fascismo non solo a parole. Abbiamo chiesto a Carlo Nordio, ministro della Giustizia e appassionato di Churchill, di scrivere quattro puntate sulla storia dell’ex primo ministro inglese per il Foglio. Nordio ha accettato. Questa è la prima puntata.
 



Il lettore perdonerà l’ardire di un dilettante che si cimenta nel ruolo di biografo. Non trovo altra scusa, salvo quella di aderire a un invito rivoltomi quasi per scherzo dal direttore durante una cena. Ma in fondo c’è anche una ragione sentimentale. Ho cambiato molte idee durante la vita, ma una è rimasta costante come la shakespeariana stella di Cesare: che la democrazia liberale sia “il regime peggiore, dopo tutti gli altri”. Quando, oltre sessanta anni fa, lessi questo aforisma, mi incuriosì la persona del suo autore. Fu così che sir Winston entrò nella mia vita.
 

Senza la sua forza avremmo avuto altri lager e altri gulag, il braccio teso o il pugno chiuso, il baffetto o il baffone


Nel corso del tempo ho visitato Blenheim dove nacque, Chartwell, dove visse, la War Room, dove lavorò, e Bladon, dove è sepolto. E ogni volta ho riflettuto che senza di lui la nostra storia sarebbe stata diversa, e assai tragica. Nel 1940 la Gran Bretagna, sola ed esausta, stava per affidarsi a Lord Halifax, che mirava ad una pace con Hitler. L’Impero Britannico si sarebbe isolato in una malinconica decadenza, gli Stati Uniti non sarebbero entrati in guerra, e Hitler avrebbe combattuto sull’unico fronte della Russia sovietica. Se avesse vinto, l’Europa sarebbe caduta “nell’abisso di un nuovo medio evo, reso più sinistro e più duraturo dai lumi di una scienza perversa”. Se avesse perso, le truppe di Stalin sarebbero arrivate fino all’Atlantico, e noi avremmo fatto la fine delle cupe “repubbliche democratiche” crollate solo nel 1989. Avremmo avuto i lager o i gulag, il braccio teso o il pugno chiuso, il baffetto o il baffone, il paganesimo runico o l’ateismo di stato, Arno Breker o il realismo socialista. Grazie a Churchill, e naturalmente a coloro che lo seguirono, questa apocalisse ci è stata risparmiata. 
 

Parafrasando sé stesso, disse che mai tanti titoli accademici erano stati ottenuti da un uomo solo, con così pochi esami


Infine, Churchill non fu soltanto il più grande statista del XX secolo: fu anche soldato, giornalista, pittore, storico, marinaio e persino “bricklayer”, posatore di mattoni. Nel 1953 gli fu conferito il premio Nobel per la letteratura, e collezionò una serie impressionante di lauree “honoris causa”. Parafrasando sé stesso, disse che mai tanti titoli accademici erano stati ottenuti da un uomo solo, con così pochi esami. Era un gaudente che pasteggiava a Pol Roger, dopo due aperitivi di wisky e prima di altrettante dosi di brandy. Fumava dieci sigari al giorno, e morì a 90 anni sul suo letto. Come tutti quelli che vivono intensamente, non temeva la morte, e la affrontò più volte sui campi di battaglia. Fu, in sintesi, l’ultimo dei grandi personaggi rinascimentali. Forse, mai più ne vedremo di uguali. 

 

Winston Spencer Leonard Churchill nacque il 30 novembre 1874 a Woodstock, Oxfordshire, in una stanza del castello di Blenheim, durante un ballo. Uscì inaspettato dal grembo materno con due mesi di anticipo, come se avesse fretta, disse, di venire al mondo. Il palazzo apparteneva ai discendenti del duca di Marlborugh, che aveva eretto la sontuosa dimora con le regalie della Corona per la vittoria nell’omonima località durante la guerra di successione spagnola. Il padre, Lord Randolph, era un aristocratico rude e scontroso, che il figlio definì più tardi come Dio: “occupato altrove”. La madre, Jennie Jerome, era una bella e brillante americana, figlia di un milionario. Il bambino adorava i genitori, senza esserne particolarmente ricambiato. Come tutti i ragazzini della sua classe sociale, fu affidato alle cure di una “nurse”, Miss Everest, alla quale rimase sempre legato. A sette anni fu spedito in una delle scuole più esclusive del paese, dove la retta era alta e la disciplina severa. Il piccolo manifestava già il suo carattere pragmatico e un po’ sardonico. L’episodio più significativo lo narra in “My Early Life”, quando l’insegnante di latino gli spiega le declinazioni. Alla parola “mensa” (tavola) i due si accordano sul nominativo, il genitivo e il dativo. Ma al vocativo la consonanza si rompe. “Che vuol dire?”, chiede Winston. “Vuol dire: o tavola”, risponde il maestro. “Ma io non mi rivolgerò mai a una tavola”, replica indispettito l’allievo. “Questa storia delle declinazioni”, scriverà poi, “mi sembrava una rigmarole” (una tiritera). Sulla inutilità del latino Churchill avrebbe più tardi cambiato idea. Comprese che le sintesi di questa lingua tanto nobile quanto concreta erano essenziali a un buon oratore. Ne collezionò varie citazioni, e ne fece buon uso.

 
Nel frattempo il padre, tra una bega e l’altra del suo partito, dovette decidere del destino del primogenito. Vedendo la collezione di soldatini di Winnie, gli chiese se volesse intraprendere la carriera militare. Il ragazzo rispose di sì, prospettandosi un avvenire eroico. Anni dopo fu deluso quando seppe che il prudente genitore lo aveva indirizzato all’uniforme di ufficiale perché non lo riteneva abbastanza intelligente per vestire la toga dell’avvocato. Così Churchill fu ammesso, dopo due bocciature, all’accademia di Sandhurst, dove a vent’anni si diplomò, ottavo su un corso di 150 allievi. Fu destinato al 4° reggimento Ussari, la cavalleria scelta della regina. L’equitazione lo avrebbe appassionato per tutta la vita, e gli avrebbe consentito di giocare a polo con i membri della Corona. “Un’ora in sella – disse – non è mai perduta”. Poco tempo dopo Lord Randolph, minato da varie patologie, morì. Winston visse l’evento con il dolore di un figlio devoto, e con il proposito di riabilitare la figura politica del padre, da tempo caduto in disgrazia, scrivendone una biografia e superandone le fortune. Ci sarebbe riuscito, con gli interessi.

  

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Il neo sottotenente non era ancora maturo per scrivere grossi volumi. Piuttosto sgomitava per avviarsi agli orizzonti di gloria sui campi di battaglia. In mancanza di conflitti in corso, decise di seguire la guerra ispano-americana di Cuba come osservatore. Convinse un giornale di Londra a commettergli delle corrispondenze a cinque sterline l’una. Da allora i suoi redditi maggiori derivarono dall’attività di giornalista. Il padre non gli aveva lasciato né il titolo né un’eredità adeguata al suo rango. Per il resto della vita il “commoner” Winston Churchill sarebbe vissuto in un lusso precario, onorando all’ultimo momento i debiti con i proventi delle conferenze e delle pubblicazioni. “Mi accontento facilmente del meglio”, soleva dire. Ma lo stipendio, di ufficiale prima e di parlamentare poi, gli consentiva appena di pagarsi il valletto.
 

A Cuba sostenne la prova del fuoco, forse un po’ enfatizzata nelle sue memorie. Ma poco dopo dovette affrontarne una più impegnativa. Nella primavera del 1896 il suo reggimento salpò verso l’India, e prese stanza a Bangalur. Qui, in attesa di essere spedito al fronte, Churchill si dedicò a colmare le sue lacune culturali. Consapevole della limitatezza dell’educazione militare, e forse già immaginandosi sui banchi del Parlamento, divorò e assimilò il più grande classico della storiografia dai tempi di Tucidide e di Tacito. La “Decline and fall of the Roman Empire” di Gibbon è ancora oggi così monumentale nell’impostazione, solenne nel linguaggio e armoniosa nel ritmo, da farsi perdonare i pregiudizi e gli errori di una documentazione limitata. Churchill avrebbe coniugato la maestà di questa prosa con la “Wicked wit” del suo sarcasmo pungente. Il suo Nobel per la letteratura fu ampiamente meritato. 
 

Senza la sua forza avremmo avuto altri lager e altri gulag, il braccio teso o il pugno chiuso, il baffetto o il baffone


Finita questa parentesi letteraria, il neo-tenente fu spedito ai confini con l’Afghanistan, dove si scontrò con le tribù del Pathan. Nella valle dello Swat fu circondato dai ribelli, ne uccise alcuni con la sciabola, altri con la pistola, e alla fine raggiunse incolume la sua colonna. Descrisse queste eroiche gesta in una serie di corrispondenze al Daily Telegrah, e cominciò ad acquistare notorietà in patria. Insaziabile di avventure e di onori, Churchill chiese ed ottenne di partecipare in Sudan alla guerra contro i dervisci. Qui si distinse nella leggendaria carica di Omdurman, dove ancora una volta si trovò circondato e dovette farsi strada lasciandosi dietro una scia di cadaveri. Questa nuova impresa, pubblicata forse con qualche ricamo, incrementò le sue finanze e la sua fama. Rassicurato dalle prime, sfruttò la seconda candidandosi con i conservatori nel collegio di Oldham, saldamente tenuto dai liberali. Fu sconfitto, ed entrò in polemica con il partito. Riprese la duplice veste di combattente e di inviato, e visse un’avventura straordinaria, che consolidò definitivamente la sua abilità con la penna e con la spada: la guerra boera. 
 

I Boeri erano coloni di origine olandese che si erano trasferiti nel sud dell’Africa, in una regione poi rivelatasi ricca di oro e di diamanti. Ovviamente sloggiarono gli indigeni, come poco dopo gli inglesi avrebbero cercato di fare con loro. Oggi è di moda la “culture cancel”, con la critica ai vari imperialismi passati. È un atteggiamento irragionevole, perché dai tempi di Lugalzaggisi re di Uruk, e sicuramente anche da prima, i popoli si sono combattuti con invasioni, ritirate e successive occupazioni. Soltanto una profonda ignoranza della storia e della natura umana può giustificare un esercizio così sterile e ozioso. Comunque sia, il British Empire era allora in piena espansione, come era stato duemila anni prima quello romano, e come sarebbe stato nel secondo dopoguerra quello sovietico, fermato dalla Provvidenza incarnata in Giovanni Paolo II e in Ronald Reagan. Ma questa è un’altra storia. Torniamo a Churchill.
 

I Boeri gli misero una taglia di 25 sterline, vivo o morto. Il giovane si risentì dell’esiguità di questa valutazione


Arrivò nel Transwaal da mezzo soldato e intero giornalista. Partecipò a varie azioni militari, organizzò la resistenza armata dentro un treno blindato fatto deragliare dai ribelli (o patrioti), e alla fine dovette arrendersi quando un boero gli puntò un fucile in fronte. Fu internato in un campo, con la prospettiva, non essendo formalmente un ufficiale britannico, di essere fucilato. Progettò un’evasione, e la attuò in modo rocambolesco. I Boeri gli misero una taglia di 25 sterline, vivo o morto. Il giovane si risentì dell’esiguità di questa valutazione. Dopo mille peripezie, raggiunse l’Inghilterra, dove fu accolto come un eroe di guerra. Ne scrisse i dettagli in vari articoli e in un libro, e si ricandidò alle elezioni. Questa volta, siamo nel 1901, fu eletto ai comuni. Quindi volò in America, sempre per raccattar denaro come conferenziere, e conobbe il vecchio Mark Twain. Nello stesso anno morì la Regina Vittoria, ma la successione fu indolore. Semmai, sotto la gaudente personalità di Edoardo VII, anche l’aristocrazia inglese cominciò a respirare. Churchill lo considerò il periodo più gioioso della sua vita. Nell’alta società se la godeva, ma in politica era un continuo bersaglio di polemiche, talvolta da lui stesso provocate. Era un conservatore illuminato, sensibile alle difficoltà della classe operaia. “Vogliamo un governo che pensi un po di più ai lavoratori in fondo alla miniera e un po meno alla fluttuazione di titoli alla borsa di Londra”, disse pubblicamente. Il partito si arrabbiò, e Churchill passò ai liberali. Aumentò l’ostilità del primo senza farsi amici i secondi. Qualcuno cominciò a definirlo un voltagabbana. In effetti anche in seguito avrebbe cambiato schieramento più volte. Descrisse questa volatilità nel suo modo magistrale: “Ci sono persone che abbandonano il proprio partito per amore dei propri princìpi, e altre che abbandonano i propri princìpi per amore del proprio partito.”Una battuta più attuale che mai. 
 

Fu recuperato da David Lloyd George, un liberale progressista, che lo prese sotto la sua protezione. Da quel momento gli incarichi aumentarono in autorevolezza e prestigio: nel 1908 fu nominato ministro del commercio, e all’impegno governativo si aggiunse quello coniugale. “Mi sposai – scrisse successivamente – e vissi felice”. Clementine Hozier era un’aristocratica dai lineamenti spigolosi che evocavano i dipinti di Fernand Khnopff. Della sua influenza sul marito parleremo nelle prossime puntate. Quanto al neo sposo, il nuovo incarico ministeriale gli stava stretto. Inondò i colleghi di promemoria che esulavano dalle sue competenze: sulle ore di lavoro da ridurre, sui salari da aumentare e sui disoccupati da assistere. Aveva un “esprit de geometrie” da conservatore, ma un “esprit de finesse” da riformista soccorrevole, fu insultato dalle suffragette, ma rispettato dalla classe operaia. Con un patrimonio così ben assortito, nel 1910 divenne ministro dell’Interno. In questo ruolo, attuò le riforme che aveva prima suggerito, tra cui una umanizzazione del sistema carcerario: Churchill credeva alla riabilitazione più che alla punizione degli autori di reati minori. Ma all’occorrenza sapeva essere severo: riprese letteralmente le armi in mano, quando guidò alcuni centinaia di poliziotti a stanare due anarchici barricatisi a Sidney street. Qualcuno ironizzò su una simile “fanfaronnade”, ma complessivamente il pubblico applaudi il coraggioso ministro che rischiava la vita accanto alle truppe. Così Winston trovò la via tracciata per la più sua ambita aspirazione, quella del “vecchio marinaio”. Preoccupato del riarmo della Germania, e della costruzione di una nuova flotta potente e moderna, Herbert Asquith lo nominò primo Lord dell’Ammiragliato. Tre anni dopo sarebbe scoppiata la grande guerra. Churchill se ne rammaricò, ma scrisse: “Almeno la Marina era pronta”.

Winston Churchill, lo statista moderno. Di Carlo Nordio

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