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Riflessi

Niente da fare: togliere la provincia dalla letteratura italiana è un'impresa impossibile

Mariarosa Mancuso

Cronache da una serata finale del Premio Strega a prova di intelligenza artificiale, contornato da giochini, siparietti e voci vive, defunte e sintetiche che accompagnavano la presentazione di autori e scrittori

C’è voluta l’intelligenza artificiale, con uno scatto di bizzarria da parte degli autori – quelli della serata, in televisione nessuno dice parole sue – per aggiungere al rito dello Strega qualcosa di nuovo. I sei libri finalisti hanno avuto un siparietto di presentazione affidato a celebrità. Vive, defunte, sintetiche: c’era la voce dello smartphone che come Siri (e parentela) sa tutto, e poi Greta Thunberg, Eugenio Montale, Italo Calvino, Giuseppe Ungaretti, Umberto Eco.
 

Il giochino ha consentito qualche sfottò – a Tommaso Giartosio che ha intitolato il suo libro Autobiogrammatica, da parte di Italo Calvino che aveva intitolato i suoi racconti Le cosmicomiche. A urtare le patrie lettere fu soprattutto la parola “comiche”, suggeriva che la letteratura poteva essere dilettevole, perfino divertente. Messaggio mai arrivato a destinazione. Assistiamo con dolore alla tendenza contraria. C’era la tv del dolore, variamente sbeffeggiata, e ora ci sono i romanzi del dolore. Come L’età fragile di Donatella Di Pietrantonio, vincitrice annunciata da mesi, e già premiata con lo Strega Giovani. Dopo la vittoria, bevuto il sorso del liquore giallo, ha dichiarato che la vittoria è stata difficile e tormentata.
 

Insomma: 50 voti in più rispetto a Dario Voltolini secondo classificato con Invernale, mentre tutti avrebbero giurato sul secondo posto a Chiara Valerio con Chi dice e chi tace. Di Pietrantonio ci prova da tanti anni, è vero. Radicata “nell’aspro Abruzzo”, come tutti hanno ripetuto. Scopriamo leggendo Repubblica che aveva anche il cornetto rosso portafortuna.
 

I vestiti firmati non hanno aggiunto granché ai look soliti delle sartine – togliere la provincia dalla letteratura italiana è impresa difficile e forse impossibile, sono anni che aspettiamo il miracolo. Geppi Cucciari in nero e tacchi a spillo ha fatto del suo meglio, assistita da Pino Strabioli. In assenza del ministro della Cultura Gennaro Sangiuliano, i libri sembrava che non li avessero letti loro due, a giudicare dalle domande generiche rivolte agli scrittori.
 

I romanzi belli sono fatti di dettagli, niente è venuto fuori da un misto confuso di autobiografia, antichi fatti di cronaca, preoccupazioni per l’ambiente che una volta gelava e ora si surriscalda, pettegolezzi paesani (da deplorare, ovvio: nessuno ricorda che sono stati sostituiti dai social, dove i giornali in crisi di pubblico vanno a pescare idee da dibattito).
 

A ognuno degli scrittori toccava, oltre all’intervistina a voci alternate tra i due presentatori, un lettore “comune”, ben imbeccato. A Dario Voltolini, che in Invernale racconta una morte per un incidente di macelleria, è toccato il macellaio. Raccontava il libro e intanto maneggiava un pezzo di carne. Gli altri, se possibile, erano peggio. “I libri si giudicano gli scrittori NO”: questo il messaggio in apertura degli scrittori candidati. Il senso non è chiaro: sono già vogliosi di martirio come Antonio Scurati? O pensano che le loro parole dette incantino più delle loro parole scritte?

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