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Carlo Bozzelli: “Il codice dei tarocchi spiega il Dna dell'anima”

Francesco Palmieri

Intervista a Carlo Bozzelli. Una prima vita da medico veterinario e la seconda – che di gran lunga preferisce – da tarologo, ossia studioso di tarocchi, cui ha dedicato libri, seminari, conferenze e l’accademia che ha fondato nel 2008

Una prima vita da medico veterinario e la seconda – che di gran lunga preferisce – da tarologo, ossia studioso di tarocchi, cui ha dedicato libri, seminari, conferenze e l’accademia che ha fondato nel 2008. Carlo Bozzelli, classe ’72, cresciuto a Bergamo e residente in un piccolo paese costiero del Pisano, si offende a sentirsi pensato “cartomante”, tanto più che ha messo a frutto il suo background da genetista per individuare persino una corrispondenza tra la struttura del Dna, il Libro dei Mutamenti cinese ‘I Ching’ (‘Yijing’ nella trascrizione pinyin) e i tarocchi.

 

Cosa c’entra la veterinaria con la tarologia?

Scelsi quella facoltà sulle orme di uno zio e per romantica attrazione verso gli animali, però mentre studiavo scoprii altre inclinazioni. Completai il corso di laurea per un obbligo morale nei confronti dei miei genitori e conseguii anche una specializzazione triennale per animali da laboratorio, che prevedeva un approfondimento della genetica. Fui assunto subito da una grande azienda farmaceutica estera, anche perché parlavo inglese fluente, ma il primo giorno che scesi nello stabulario una scimmia in gabbia mi guardò negli occhi. Capii all’istante che non ce l’avrei mai fatta e mi licenziai lì per lì.

 

Pensò: meglio i tarocchi?

Continuai per qualche anno a lavorare nel settore commerciale di altre industrie farmaceutiche, mentre cresceva l’interesse per i tarocchi con la lettura di tutti i libri reperibili, ma neanche i trattati più famosi mi convincevano. Viaggiai all’estero e conobbi vari maestri cartai finché mi convinsi che la fonte autentica dei tarocchi è quella cosiddetta marsigliese, anche se esistono altri mazzi bellissimi dal punto di vista iconografico. Se un operatore è intuitivo può utilizzarli tutti, ma è solo nella tradizione di Marsiglia che si riscontra una struttura in codice che segue regole linguistiche molto precise, con un vantaggio non solo divinatorio. È un formidabile strumento per la conoscenza di se stessi.

 

Lei ha anche restaurato un celebre mazzo di tarocchi per la Dal Negro.

È quello del 1760 di Nicolas Conver, che dopo l’operazione di recupero grafico restituisce meglio degli altri la struttura cifrata delle carte, sia dei cosiddetti arcani maggiori sia dei minori che li completano.

 

Però i tarocchi più antichi, secondo gli storici, sono quelli italiani dei Visconti-Sforza risalenti al quindicesimo secolo, mentre quelli del ceppo marsigliese sono datati alla prima metà del Settecento.

Stando alla struttura ricavata dai miei studi, i marsigliesi sono invece di gran lunga anteriori, malgrado non sia stato finora comprovabile. Credo che i tarocchi abbiano un’origine gnostica con richiami anche alla ritualistica egizia. Rappresentano perciò un contenitore straordinario di informazioni, una lingua archetipica per dialogare con l’anima e conseguire un ampliamento di coscienza. Rispondono a una struttura grammaticale, non alla vaghezza dell’interpretazione individuale, anche se il loro impiego può sollecitare lo sviluppo delle facoltà intuitive.

 

Lo scetticismo di qualcuno è legittimo.

Lo scettico è inconvincibile, però se sperimentasse una lettura dei tarocchi eseguita in modo opportuno ammetterebbe che c’è una risonanza interiore.

 

Essendo stato dapprima uno scienziato, sa come gli scienziati reputano la cartomanzia.

Utilizziamo il termine tarologia, per liberarci dall’immagine ottocentesca della gitana che va divinando per strada. È comprensibile che uno scienziato non accetti il mescolamento del mazzo di tarocchi, perché rifiuta il principio di tutte le arti mistiche basato sulla sincronicità e ritiene che l’estrazione delle carte risponda solo al caso. Ma i tarocchi esprimono una intelligenza metafisica che andrebbe rivalutata, soprattutto mentre dilaga l’intelligenza artificiale.

 

Lei asserisce addirittura una correlazione tra ‘I Ching’, tarocchi e Dna.

Una decina d’anni fa m’imbattei negli scritti di alcuni biologi americani che già negli anni Settanta avevano ipotizzato una relazione tra il Libro dei Mutamenti e la genetica. Cominciai a studiare se i 64 esagrammi avessero una corrispondenza chimica con le triplette genetiche che servono a codificare le proteine e la conclusione è stata stupefacente: sono in millimetrico accordo. Questa è biologia, non mistica. Su come sia stato possibile elaborare tale schema simbolico migliaia di anni fa non voglio avventurarmi. Intanto ho rilevato che anche gli arcani maggiori dei tarocchi celano una corrispondenza con gli amminoacidi che concorrono alla formazione delle proteine. È come se questi antichissimi testi figurati avessero serbato le informazioni del genere umano.

 

Qual è lo scopo di chi studia i tarocchi: conforto? Curiosità culturale? Veggenza del futuro? Se uno va dal terapeuta lo racconta agli amici, ma è quasi imbarazzato a dire che si fa leggere le carte.

Chi conosce il codice dei tarocchi sviluppa la consapevolezza psichica attraverso meravigliose connessioni interiori. Insegno da oltre quindici anni e posso dire che per migliaia di persone c’è stata una vita prima e una dopo l’incontro con i tarocchi. È come farsi una Tac spirituale, o come praticare una lingua di comunicazione con il Cielo.

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