Luca Fieschi - foto dal Museo Diocesano di Genova

Cultura

Ossessionati dal mito del Rinascimento, ci siamo scordati del Trecento

Claudio Sagliocco

Il museo diocesano di Genova ha restaurato uno dei monumenti più importanti della scultura trecentesca: quello dedicato al cardinal Luca Fieschi. Creato da scultori pisani è stato smembrato e declassato nel tempo. Oggi i 124 frammenti rimanenti sono stati riassemblati

Se “la morte vive a Staglieno” (Ceronetti), si può affermare che nella stessa Genova la morte riposa nel Museo diocesano, è quiescente nei marmi del monumento funebre del cardinal Fieschi. Nell’anno in cui la città ligure celebra il Medioevo, ha ripreso finalmente forma uno dei monumenti funebri più importanti del Trecento italiano. Ossessionati dal mito del Rinascimento, dalla retorica del capolavoro e dai soliti grandi nomi celebrati, si ignora quanto il Duecento e il Trecento siano stati importanti e fertili per le arti e la cultura in ogni forma, soprattutto per la letteratura, la pittura e la scultura. Nominato cardinale da Bonifacio VIII nel 1300, Luca Fieschi riuscì in un’impresa che fu fallimentare persino per i suoi avi pontefici: posizionare la propria tomba all’interno della Cattedrale cittadina di San Lorenzo. Realizzato a partire dal 1336 e terminato intorno al 1340, il monumento fu scolpito da abilissimi scultori di educazione pisana della generazione successiva a Giovanni Pisano. Si trattava di un apparato funebre grandioso, come una piccola chiesa nella chiesa, con le sue cuspidi gotiche che dovevano arrivare a solleticare la volta della cattedrale. Si ignorano le reali forme e dimensioni del progetto originario, dal momento che la tomba subì numerosi spostamenti nel corso dei secoli, che ne hanno comportato lo smembramento e la perdita di alcune porzioni.
 

Man mano che la famiglia Fieschi diminuiva di importanza e centralità nella politica genovese, il monumento veniva declassato nelle dimensioni e nella sua collocazione all’interno della maggiore chiesa della città. Si potrebbe parlare di “tragedia della sepoltura”, come per il più celebre monumento funebre di Giulio II che tanto fece penare Michelangelo nel corso della sua vita. Questa vicenda vede oggi finalmente un risvolto nuovo, grazie al lavoro paziente e virtuoso del Museo diocesano di Genova, che custodiva i frammenti del monumento dal 1991. Nel 2020 sono cominciati i lavori che hanno portato a un nuovo allestimento, che non vuole essere una ricostruzione ma solo una proposta per fare dei passi in avanti negli studi e poter tornare a godere del sepolcro nella sua parziale integrità. Negli ambienti oscuri  del museo ci si imbatte così nel riverbero bianco del monumento, che si può vedere sia dal basso, come si presentava ai fedeli in origine, che dall’alto, potendolo quindi osservare più da vicino. Da sopra i due angeli che dischiudono le tende si manifestano in tutta la loro travolgente espressività. L’angelo che apre le tende per mostrare il corpo del morto è un motivo topico, ma le dimensioni e la forza plastica di questi fanciulli angelicati sono quasi unici, a tal punto che a confronto gli angeli del sepolcro di Maria d’Ungheria di Tino di Camaino a Napoli, uno dei pochi monumenti funebri del Trecento paragonabili per importanza a quello genovese, sembrano stanchi di reggere la cortina (parafrasando Longhi).
 

Trovare un senso e un posto a ognuno dei 124 resti del monumento non era operazione facile, e alcuni pezzi tra girali, formelle e caulicoli che non hanno avuto un’integrazione coerente sono stati allestiti nelle pareti circostanti, dove è narrata anche la storia del monumento, del cardinale e del riallestimento. Mettere assieme i frammenti, decifrarli, interrogare la pietra, dare forma al frantume della storia significa capire meglio il passato e illuminare qualche fessura del presente. Luca Fieschi ritrova il sonno dolce e beffardo della morte e Genova acquisisce nuovamente una delle sue tante perle, troppo spesso ancora poco note.

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