Letture
Nella cinquina che sognavamo, un solo titolo è anche fra gli 82 dello Strega
Le colpevoli lacune di un premio letterario che si è dimenticato di Michele Mari, Antonio Franchini e Pietro Minto
E noi cosa avremmo scelto? Per la cinquina dello Strega si intende, che da qualche settimana occupa i nostri pensieri più cupi. Nulla che serva, se non a divertirsi, almeno a un po’ di svago, o a lavorare di fantasia, o a gustare un giro di frase, a segnarsi un concetto o un punto di vista (“vi piace questo concetto?” era il tormentone nelle prime pagine dei “Viceré” di Federico De Roberto, e stavano passando in rassegna iscrizioni funebri). Sestina, veramente: per dare una possibilità ai piccoli editori che allo Strega hanno meno amici.
Degli 82 – dicesi 82 – titoli presentati si salva uno solo, “All’ombra del vulcano” di Marco Rossari. Cresciuto sul periglioso terreno di una traduzione che è come scalare una montagna: i deliri alcolici di Malcolm Lowry, in “Sotto il vulcano”. Con quell’apprendistato, si scrivono pagine spassose sull’impianto idraulico di casa, “è tutto collegato” (ovvero: qualsiasi riparazione fa saltar fuori altri difetti). Uno su 81, bell’inizio.
Bisogna cercare in campo aperto. Per esempio, l’ultimo romanzo di Michele Mari – unico scrittore italiano che, in “Leggenda privata”, abbia saputo raccontare la propria vita, e la propria famiglia, senza fare morire di sbadigli (comandato da certi mostri). Nel nuovo libro – “Locus desperatus”, così si chiamano le righe indecifrabili che fanno impazzire i filologi – il protagonista è assalito da diavoletti, o similari creature, che vogliono appropriarsi dei suoi oggetti, scivolando poi nella sua identità. E via verso la follia, con dettagli concretissimi. Leggiamo: “Le figurine Mira Lanza, ancora aulenti di polvere detersiva”.
Per esempio, “Mia madre puzza” – non è un titolo, ma l’incipit scelto da Antonio Franchini per “Il fuoco che ti porti dentro”. Ritratto di una madre insopportabile e come se non bastasse maleodorante – a detta di tutti. Bella botta, nel paese delle mamme, in competizione soprattutto con le figlie femmine. La separazione si compie – anche il lettore prova un certo sollievo. Poi la terribile madre torna, ormai anziana e sola, bisognosa di cure.
A chi dovesse lamentarsi per le brutture e le sgradevolezze, diremo che la letteratura non è uno sport per signorine. Neanche per le molte signore che ne hanno occupato gli spazi – niente è peggio di chi pensa di aver subito un torto, nella vita o in politica, e cerca di occupare ogni angolo – con quel che una volta si chiamava “vita vissuta”.
La natura umana è il primo ingrediente per scrivere romanzi, sosteneva Henry Fielding che scrisse “Tom Jones”. Ma non esistono solo il vittimismo o la sofferenza o le scelte sbagliate (certe fanciulle contemporanee sembrano attraversare la vita come neanche ai tempi di Dickens). C’è per esempio la matematica, al centro di “La seconda prova” di Pietro Minto. Lo conoscete per “Link molto belli”, idea semplice quanto azzeccata. Qui ha riaperto i libri e raccontato la sua prodezza: superare l’esame di matematica alla maturità.
Si muove su un terreno rischioso Giulio Spagnol, con “Charlie palla di cannone”. Una favola folle, che racconta la vendetta di un ragazzino di nove anni, senza braccia e senza gambe. Qui di solito lo scrittore italiano – peggio ancora la scrittrice italiana – piazza un bel po’ di lacrime. Il giovane Spagnol, laureato a Oxford in neuroscienze, piazza qualche bizzarro aiutante: sarà vendetta, non pietà.
Siamo a cinque, serve una piccola casa editrice: ecco Quodlibet, con Ermanno Cavazzoni e il suo “Manualetto per la prossima vita”. Non è sicuro che nell’aldilà avremo i libri, e sarà un terribile lutto. Peggio, se ci faranno trovare solo romanzi con la fascetta gialla: “Finalista allo Strega”.